Della profezia di Warhol…

Secondo noi, la profezia di Warhol riguardante i 15 minuti di celebrità che sarebbero spettati a tutti in futuro – cioè, ora – fa acqua da tutte le parti. A tutti chi? Siamo 7 miliardi di anime al mondo, marciamo sostenuti verso gli 8 (avete mai visitato il sito ww.worldometers.info/it/ ? Se no, fateci un giro, è molto istruttivo), ed è ovvio che nonostante gli sforzi in tal senso delle televisioni private e di Facebook molta gente, anche a suo modo notevolissima, resterà per sempre ignota ai più.

No; Andy ne ha sparate tante, e anche con questa ha ciccato. Invece, qualsiasi tipo di comportamento adottiate ha un’ottima possibilità di essere stato censito da qualche psicologo, tacciato di ricorsività e infilato a viva forza, prima o poi, nel DSM; vedrete se non è vero. In questo vangelo dei disturbi mentali figurano cose stranissime sulle quali poi i professionisti, moderni entomologi, si accapigliano: tipo, la PAS, Sindrome da Alienazione Parentale (l’Uomo della Strada avrebbe detto che se cresci tuo figlio come un deficiente c’è il rischio che diventi un deficiente), l’omosessualità, fino all’altro ieri (si vede che a Povia nessuno ha fornito aggiornamenti), e così via, in un crescendo di manfrine sempre più particolaristiche buone perlopiù a rimpinguare l’edizione e le tasche di editori e ricercatori.

Stranamente – ma possiamo sbagliarci, certo – non abbiamo trovato quella particolare forma di horror vacui (cenofobia nel DSM IV: c’è!) che consiste nel dover per forza sempre avere l’agenda piena, pienissima, neanche un minuto per tirare il fiato.
Nel mondo del lavoro, questa terribile fobia è stata sdoganata come valore desiderabile prima da quel grande truffatore di Taylor, al quale dobbiamo gran parte delle politiche tempi e metodi aziendali moderne che si basano, come già aveva scoperto Ford tanto tanto tempo fa, sul nulla più assoluto; i soldi che sono finiti nelle tasche dei Guru del Time Management sono forse pari al bilancio annuale di Paperon de’ Paperoni, certo molti meno di quelli sprecati nei vari Manuali della Qualità ma comunque una cifra rispettabilissima.

Il Time Manager di oggi ti insegna che puoi programmare la tua mente per alzarti alle 4, fare jogging, sauna e pesi, correre in ufficio, presenziare a 6 riunioni, prendere l’aereo per visitare i reparti in Costarica, sbatterti la segretaria e tornare a casa per cena. Fantastico: nemmeno dieci minuti di lavoro vero in tutta la giornata, se non è organizzazione questa. In famiglia, invece, il concetto è stato fatto proprio dalla non-Sindrome di Cenerentola (nel DSM quella vera c’è, c’è), ovvero quel desiderio di tirare la casa come si vede nei film (in realtà non sono case: sono set cinematografici, che si sappia) per poi maciullare la vita di tutti i familiari organizzando loro la vita nel minuto. Colazione col Mulino Bianco al tavolo Foppa Pedretti, via al lavoro mangiando uno yogurt che rende immortali e bevendo acqua che elimina l’acqua con serio rischio disidratazione, prendere tre encomi, farsi sbattere dal capo di cui sopra se sei una segretaria, poi uscire accompagnare i figli a calcio judo violino danza scacchi teatro ikebana, tornare a casa, cucinare come Ruggiati o come Cracco (due patatine nel piatto e via), pulire tutto a specchio e svenire faccia in giù sulla pulitissima moquette.

Sesso, mai: le Soccer Moms, come le chiamano gli inglesi, non scopano se non per pulire casa e se non tanto per riprodursi ed avviare il ciclo di autodistruzione.
E poi c’è quella bellissima deriva socio relazionale ancora più moderna che prescrive, impone di avere qualcosa da fare ogni santo giorno, altrimenti se ti fermi crepi, come nei film di Jason Statham in cui si droga col Crank; esci dal lavoro, corri in palestra, doccia, trucco e parrucco e poi ape; e poi esci con Tizio e con Caia, ma ti tieni di riserva Sempronio e Tacita e Settimio Severo perché se salta Caia oppure se Tizio non è di strada devi essere pronto/a a razionalizzare: guai ad avere dieci minuti di tempo libero, potresti finire col pensare. Sono quelli che quando gli dici “Che dici, ci vediamo venerdì, sei libero?” ti rispondono: “Mmmmhh, sì, ma sentiamoci venerdì pome”, sottotitolo: “Se da qui a venerdì pomeriggio mi capita qualcosa di più lucrativo e redditizio di te ti saluto mascherina”, occhiello: “richiamami tu perché se non sono alla frutta e mi resti solo tu vedrai che mi organizzo, ti conviene informarti se non vuoi restare a casa ad aspettare la mia telefonata”.

Sono sempre quelli che su WhatsApp avviano sei conversazioni diverse: “Ciao, che fai? Ci vediamo una di queste sere?” e poi gestiscono le eventuali risposte con una freddezza che un triage ospedaliero di un pronto soccorso in zona di guerra gli fa un baffo. Sono sempre quelli che finiscono per perdere progressivamente contatto con la realtà perché gli altri mangiano la foglia e, per fare dispetto a loro, si sposano, emigrano, muoiono, e li lasciano da soli in casa specialmente il venerdì ed il sabato sera davanti alle televendite di coltelli, nel soggiorno che contiene una sedia, il televisore e poco altro (perché arredare casa quando sei sempre fuori di essa?), a strapparsi i capelli preda di tricotillomania (DSM, c’è), ad arrotarsi i denti per il bruxismo (c’è, c’è) e a mangiarsi le unghie (c’è: onicofagia).

Fino ad impazzire del tutto e passare la serata a parlare col cocker, o a telefonare ad amiche sepolte vive in casa dicendo loro “Eh, mi sono preso un po’ di tempo per me, in casa ci sto bene, perché correre sempre?”. Tutto, pur di non soffermarsi sul fatto che, al di là del DSM, forse si è anche un pochettino stronzi.

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