Il pernacchione resta inespresso, strozzato in gola; pregustato solo nel cartellone linguale che invitava reggiani e limitrofi a partecipare alla non partita dell’ex Giglio, oggi sasso-modenizzato Mapei. Il Pinturicchio è arrivato, il Pinturicchio è stato, il Pinturicchio non ha giocato (chissefrega, l’importante è lambire il mito), il Pinturicchio si è concesso, il Pinturicchio se n’è andato. Il Pinturicchio: sempre sia lodato.
La notizia che Alessandro Del Piero avrebbe giocato col contagocce, aveva cominciato a diffondersi sottotraccia negli ambienti sportivi. Una sorta di toto-minuti: il più ottimista diceva “non più di 10”. Guai però a diffondere la voce della probabilissima defaillance tra la gente in fila ai botteghini che prima di passare a migliore vita aveva deciso di regalarsi un biglietto per l’eternità. Come eterna è la leggenda.
E così il boccaccesco rito si è consumato in tutto il suo pirandelliano nonsense: strombazzature giornalistiche in pompa magna (che il giorno del Giudizio, vedrete, sarà meno analizzato), folletta (più che folla) ad osannare Alex al suo arrivo in albergo, pubblico pagante nell’arena pallonara E che ormai sapeva ma non osava parlarne per scaramanzia. Nella speranza che un difficile ma consapevole silenzio avrebbe potuto esorcizzare l’orrore. L’orrore dell’assenza. L’horror vacui.
In compenso però Acqua Uliveto-Del Piero, così come fanno solo i grandi (di cuore oltre che d’arte) si è dato generosamente a microfoni e fotografi, taccuini e fan, come fosse umano, come fosse uno di noi. Davanti a tanta sovrannaturale concessione, passa del tutto in secondo piano (anzi, è già dimenticato del tutto), il fatto che la gente sostanzialmente avesse sborsato per vederlo piroettare sul verde. Che della Reggiana frega poco a tutti. Invece niente, neanche un minuto. La persona potè più del calciatore. Veni, vidi, vici? No: veni, Alex non vidi.