Firenze – Marcello Bortolato, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, commenta gli ultimi cambiamenti che il sistema penale sta subendo in seguito alla circolare del DAP del 21 Marzo e il decreto legge n. 29 uscito sulla gazzetta il 10 Maggio, che inserisce misure urgenti per quanto riguarda la detenzione domiciliare anche per i reati giudicati più gravi, dalla criminalità organizzata al traffico di stupefacenti.
Al contrario della polarizzazione del dibattitto pubblico, che si è concentrato molto sul rischio della liberazione dei boss di stampo mafioso, il presidente non condivide questa tesi ma allo stesso tempo intravede una superficialità e inutilità del decreto Bonafede.
L’emergenza sanitaria da Covid 19 ha investito fin da subito anche il sistema penitenziario. Il 7 marzo sono avvenute rivolte violente all’interno delle carceri e 12 persone hanno perso la vita. Per ridurre l’impatto dell’emergenza sanitaria l’esecutivo attraverso il decreto Cura Italia ha deciso misure minori di detenzione per i condannati con condanne non superiori ai 18 mesi. Le rivolte sono cessate. Il sovraffollamento delle carceri, che non si conciliava con il rispetto delle misure sanitarie contro la pandemia, è stato alleggerito, sei mila reclusi sono stati scarcerati.
Il DAP, dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il 21 Marzo ha emesso una circolare che ha permesso la detenzione domiciliare per i detenuti che hanno contratto malattie che li espongono maggiormente al rischio di contrarre il contagio.
Il 10 Maggio sulla Gazzetta Ufficiale viene pubblicata la norma che la magistratura dovrà adottare in caso di richiesta di detenzione domiciliare per i reati più gravi. Tale decreto non modifica le norme precedenti in materia di condannati che hanno ottenuto la detenzione domiciliare, ma impone ai magistrati un riesame delle scarcerazioni, bilanciando lo sconto della pena con l’emergenza sanitaria e il diritto di salute del detenuto.
Quali saranno i cambiamenti più sostanziali che il vostro ufficio dovrà fronteggiare a seguito del decreto Buonafede?
Noi come magistratura abbiamo sempre gestito provvedimenti di questo tipo, che riguardano anche detenuti pericolosi. Ovviamente per uffici come i nostri che sono già sovraccaricati e in mancanza di personale si tratta di ulteriori adempimenti che aggravano ancora di più il nostro lavoro. Aumenterà l’attività sotto il profilo dell’istruttoria, per valutare dopo 15 giorni, la prima volta e 30 giorni le volte successive, i provvedimenti di scarcerazione dovuti alla pandemia Covid, poi ci saranno comunque valutazioni teoriche dei magistrati sul caso concreto.
Si parla molto del rischio di liberazione di boss mafiosi legati alla criminalità organizzata. Qual è il suo parere a riguardo?
A riguardo penso che ci sia stata parecchia confusione. Di questi scarcerati molto più della metà sono imputati per mafia e quindi non sono stati condannati, ma sono in attesa della sentenza definitiva. Solo 3 fanno parte del 41 bis. Gli altri provvedimenti riguardano detenuti dell’alta sicurezza, ma non di certo boss mafiosi, infatti fanno parte della terza categoria dell’alta sicurezza quella detta della manovalanza e talvolta hanno espiato reati associativi e adesso stanno espiando reati comuni.
La responsabilità dei magistrati aumenterà in seguito al decreto?
La responsabilità dei magistrati rimarrà sempre la stessa, abbiamo sempre gestito detenuti pericolosi. Adesso dobbiamo bilanciare la sicurezza sociale con il diritto alla salute, è una valutazione sul bilanciamento tra il diritto del condannato di essere curato adeguatamente e dall’altro le esigenze della sicurezza in caso di scarcerazione. Di certo ci stiamo sentendo il fiato sul collo poiché il decreto è quasi un atto di sfiducia nei nostri confronti, poiché dopo un provvedimento dobbiamo subito rivalutare ogni singolo caso dopo 15 giorni e poi ogni mese. Non è rassicurante però lo facciamo, il nostro unico vincolo è la legge e la rispettiamo.
Di conseguenza secondo lei perché è stato approvato?
Assolutamente no, è superfluo perché i provvedimenti per il differimento della pena per motivi di salute esistevano già e sono sempre provvisori o a termine, dove il giudice fissa la fine della detenzione di pena domiciliare. Questa volta è come se il legislatore non si fidasse del giudizio del giudice e pone un termine molto ravvicinato per rivedere lo stato del condannato. La motivazione a parere mio era per dare una risposta immediata per motivare le scarcerazioni e rispondere alle polemiche sorte, sproporzionate alla realtà dei fatti. Rimane il fatto che lo giudico un provvedimento irrazionale.