Pisa – Scoprire il Pictor Optimus, il più misterioso del secolo scorso, attraverso le sue opere, è come avere l’accesso a un mondo criptico, dove, non sempre è possibile svelare completamente la sua arte e risolvere gli enigmi nascosti nei suoi capolavori.
Fino al 7 maggio 2021, Palazzo Blu a Pisa ha da poco riaperto al pubblico lo spazio espositivo, dopo il periodo più duro della pandemia. Finalmente è possibile visitare la grande retrospettiva dedicata a Giorgio De Chirico, il grande artista del Novecento italiano “inventore della pittura metafisica”.
L’evento pisano presenta la collezione personale dell’artista, dei “de Chirico di de Chirico”, attraverso le opere della Galleria Nazionale di Roma, dono nel 1987 della moglie del pittore, Isabella, e la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico. Un percorso che inizia dalla produzione dei primi anni del Novecento, fino alla metafisica per approdare infine alla neometafisica.
“Bisogna aver potuto dipingere i quadri che io solo sono riuscito a dipingere in questa prima metà del nostro secolo” Una delle frasi che De Chirico ha scritto a proposito della pittura moderna, nel suo libro “Memorie della mia vita” La nave di Teseo, 2019, ripresa anche nell’introduzione di Franco Cordelli. Rappresenta molto bene l’alto concetto che De Chirico aveva del suo percorso verso la perfezione.
La vita del maestro della metafisica inizia in Grecia, a Volos, ma è incredibilmente ricca, di culture diverse, di città e luoghi dove ha vissuto: Atene, Kefissia, Venezia, Monaco, Parigi, Firenze, Roma, New York, Milano. E poi fu solo Roma, piazza di Spagna.
Ricerca ossessiva e intuizioni si uniscono nell’universo lirico della sua lunga esistenza come uomo e artista, scandita da un grande successo iniziale, seguito da un’incomprensione della critica di comprendere il valore del suo avanzare pittorico verso il mondo “classico”.
È il primo De Chirico metafisico che si impone prepotentemente, lasciando un segno indelebile, nel mondo dell’arte.
“Dopo lo slancio dei futuristi, la pittura italiana non aveva trovato un’espressione abbastanza forte che eguagliasse gli sforzi della nuova pittura francese. Nell’opera di Giorgio de Chirico questa espressione si afferma oggi nella fioritura di un nuovo lirismo, nell’inquadramento solido di una serietà dantesca, nel peso della materia colorata in cui la solitudine, la fatalità e l’equilibrio collegano la pittura di Giorgio de Chirico alla grande tradizione italiana”. Viene pubblicato senza firma in “La Vraie Italie”, anno 1, n. 2 a Firenze, nel marzo 1919.
A Firenze, dove si trasferisce con la sua famiglia nel 1910, compare la metafisica di De Chirico cambiando il corso dell’arte del Novecento. A questo proposito De Chirico scrive: “a Firenze la mia salute peggiorò; dipingevo qualche volta quadri di piccole dimensioni; il periodo böckliniano era passato ed avevo cominciato a dipingere soggetti ove cercavo di esprimere quel forte e misterioso sentimento che avevo scoperto nei libri di Nietzsche: la malinconia delle belle giornate d’autunno, di pomeriggio, nelle città italiane”.
Ed è qui a Firenze che nasce il suo primo quadro metafisico: L’énigme d‘un après-midi d’automne ispirato da una visione avuta in Piazza Santa Croce. L’opera precedente è L’énigme de l’oracle, seguita, sempre nel 1910 a Firenze, da L’énigme de l’heure e dal famoso autoritratto Portrait de l’artiste par lui-même con l’iscrizione nietzschiana “Et quid amabo nisi quod aenigma est?”. E cosa amerò se non ciò che è enigma?
In foto: G. de Chirico, L’énigme d’un après-midi d’automne, 1910, olio su tela, cm 45×60, collezione privata