Dati Istat e lavoro, Usb: “Attenzione a cantare vittoria”

Roma – Sarà proprio vero che il mercato del lavoro italiano ha “svoltato”, registrando dati da nuova crescita economica? A mettere il dubbio, sono gli esponenti dell’Usb, che, forti dei dati Istat, quelli addotti come prova inconfutabile della ripresa dell’occupazione in Italia frutto del Jobs Act, raccontano una storia diversa. Almeno in buona parte.

Come primo passo, spiegano dall’Usb, è necessario intendersi quando si parla di occupazione. Il panorama del settore è infatti composto da almeno tre categorie, vale a dire gli occupati veri e propri, cioè chi lavora; i disoccupati, chi non lavora ma cerca lavoro, ovvero persone in cerca di occupazione; gli inattivi ovvero chi non lavora e non lo cerca, spesso avendo perduto ogni speranza di trovarlo.

Ebbene, i dati Istat di ieri hanno reso pubblico  che “fra giugno e luglio di quest’anno si stimano 59.000 occupati in più”. Ci sono anche, fanno notare dall’Usb riferendosi sempre ai dati dell’Istat, 61.000 disoccupati in più. “Ciò significa che più ‘inattivi’ hanno cercato un’occupazione – spiega il sindacato di base – ma se il loro numero diminuisce e aumenta il numero dei disoccupati, evidentemente la loro ricerca di lavoro non ha dato i frutti sperati”.

Inoltre, c’è un altro punto importante, “che dovrebbe suggerire più prudenza a Renzi, ed è che l’aumento dell’occupazione non ha significato nuovi posti di lavoro ma semplicemente registra la permanenza al lavoro degli over 50 a causa della riforma Fornero: in questa fascia di età si concentra infatti la crescita dell’occupazione; di contro si registra un crollo dell’occupazione nella fascia di età tra i 35/49 anni con 116.000 occupati in meno a causa di crisi aziendali e ristrutturazioni, specie nell’industria”.

Infine, “se per i giovani sotto i 25 anni siamo di fronte a 47 mila nuovi posti di lavoro nuovi, se ne contano meno 8.000 nella fascia d’età 25/34 anni. Ma il dato più significativo è che il tasso di disoccupazione giovanile è aumentato arrivando addirittura al 35,5%”.

Altro dato importantissimo “viene dal confronto tra rapporti di lavoro fissi cioè a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato: nel primo trimestre di quest’anno a fronte di 477.000 rapporti precari, i contratti a tempo indeterminato sono stati appena 32.460, molti di meno di quanto registrato nei due anni passati, a giugno addirittura sono diminuiti di 12.755 unità. La spiegazione? Semplice la fine degli incentivi/decontribuzione che nei tre anni precedenti aveva accompagnato l’entrata in vigore del Jobs Act, un rilancio drogato dell’occupazione i cui effetti sono cessati con il venir meno degli sgravi”. Tirando le fila, conclude l’Usb, “i dati analizzati bene ci dicono che nel nostro paese le fasce più deboli – le donne che registrano un tasso di disoccupazione in aumento e i giovani – con questo andazzo sono condannati, se va bene, ad un futuro di precariato permanente andando ad ingrossare quella grossa fetta di povertà assoluta che già oggi in Italia conta più di 5 milioni di persone”.

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