Gli ultimi dati economici italiani non sono per nulla buoni. È vero, resta un segno più nell’andamento dell’economia, sia pur con una revisione al ribasso. La previsione era dello 0,9 e il presidente del Consiglio aveva arrotondato all’1, ma adesso siamo scesi allo 0,8, la metà dello sviluppo dei paesi dell’Unione, che è pari all’1,6. Nell’eurozona ci sono poi paesi che volano. La Gran Bretagna raggiunge un più 2,5 e la stessa Germania, che si pensava avesse frenato la sua crescita, è stimata all’1,7, mentre la Francia, ancora in preda al dopo 13 novembre, è all’1,2.
Secondo i dati Istat l’occupazione italiana, dopo il 13 novembre, ha avuto un leggerissimo decremento, meno 0,2, mentre l’aumento della occupazione stabile, ottenuto grazie agli sgravi fiscali e al Jobs act, si deve agli over 50, saliti dal gennaio 2013 di circa 900mila unità, dovuti in gran parte all’aumento dell’età pensionabile, mentre gli occupati under 50 sono diminuiti di quasi 800mila. È evidente che gli sgravi fiscali, piuttosto consistenti e pari a circa a 15 miliardi e l’abolizione dell’articolo 18 hanno contribuito a stabilizzare l’occupazione e a diminuire quella precaria, ma un vero aumento dell’occupazione avviene solo attraverso un forte incremento della domanda. Per adesso siamo lontani da un obiettivo accettabile.
Alesina e Giavazzi, nel loro solito fondo sul Corriere, paragonano gli sforzi fatti dai governi britannici in materia di diminuzione della spesa pubblica a quelli intrapresi in Italia. E qui il paragone diventa amaro per noi. La nostra spending review è purtroppo sotto i nostri occhi, con quattro commissari ritirati o dimessi (Enrico Bondi, Pietro Giarda, Carlo Cottarelli e Roberto Perotti) e con tagli rivisti e poi decimati. Il progetto Osborne, cancelliere dello Scacchiere, che si estende fino al 2020, punta a diminuire ancora (di ben nove punti) la spesa pubblica (dal 45 al 36 per cento), ma aumentando, oltre all’occupazione, anche le pensioni e la spesa sanitaria. Si possono obiettare molte cose sulle scelte del governo conservatore britannico (ad esempio che non si pensi all’incremento degli investimenti sulla scuola, come aveva fatto il governo laburista di Blair), ma il risultato si comincia a vedere.
Renzi assuma l’atteggiamento di chi sta affrontando una sfida difficile. Sia sul piano internazionale sia sul versante economico l’Italia sta attraversando un momento assai complicato. L’insoddisfazione è assai facile si riversi sull’orientamento elettorale e lo verificheremo alle consultazione comunali di Primavera. Quello che il nostro leader dovrebbe mostrare è l’atteggiamento di chi è consapevole della gravità del momento. Lasci perdere i suoi soliti comportamenti da guascone, i suoi ottimismi di maniera, le sue continue battute sul calcio, la sua propaganda di se stesso. E guidi un paese in una fase di crisi e di guerra. I suoi oppositori sappiano, però, che in questa fase l’unico comportamento accettabile è quello di chi sa assumersi la responsabilità di non giocare al “tanto peggio tanto meglio”, con la stessa logica che tutti i partiti politici dimostrarono a fronte della crisi e del terrorismo degli anni settanta, quello spirito di unità nazionale che ci consentì di battere terrorismo e inflazione e di riprendere la crescita.