Firenze – Unica popolazione indigena europea che vive in un territorio settentrionale della Scandinavia diviso dai confini di quattro nazioni (Norvegia, Finlandia, Svezia e Russia), i Sámi, parlano al mondo. In Italia lo hanno fatto alla Biennale di Venezia nel 2022 quando i Paesi nordici hanno deciso di cedere il loro padiglione a tre artisti sámi (Pauliina Feodoroff, Máret Ánne Sara, Anders Sunna). A Firenze la coreografa, regista e film-maker norvegese di origine sámi Elle Sofe Sara ha presentato al Teatro del Maggio una performance di danza di eccezionale suggestione: “Vástádus Eana – The Answer is Land”, nell’ambito del Festival Fabbrica Europa.
Prima di tutto, il popolo che vive in un territorio che per quasi due mesi in inverno non vede il sole, difende i suoi diritti alla terra e all’autonomia. Per anni si è battuto contro i tentativi di assimilazione con le popolazioni maggioritarie svedesi, norvegesi e finlandesi. Pastori che prevalentemente vivono dell’allevamento delle renne, combattono soprattutto per la propria sopravvivenza in una terra minacciata dagli effetti dei cambiamenti climatici e dall’azione predatrice dell’uomo: disboschimento, miniere, impianti industriali, espropri di terre .
A Venezia l’artista Máret Ánne Sara ha presentato alcune installazioni impressionanti composte da parti di renne morte di morte naturale, piante della tundra essiccate e odori, che alludevano alla sofferenza ma anche alla memoria, alla cura e ai saperi tradizionali. Con la sua omonima ha collaborato in passato anche Elle Sofa Sara la cui coreografia prende spunto da una poesia che fa parte del progetto “Kiss from the Border”, i cui versi furono collocati lungo la valle del fiume Deanu, al confine fra Finlandia e Norvegia.
“La terra è la domanda, la risposta è la terra”: la composizione poetica parla delle questioni che riguardano l’uso del territorio e delle vie d’acqua, e propone uno status unico e equilibrato fra la natura e la popolazione basato su reciprocità e rispetto. E’ questo il messaggio universale che hanno portato a Firenze sette performer in costumi tradizionali.
L’azione coreutica è partita dal grande cortile del teatro del Maggio nell’oscurità successiva al tramonto. Un lungo silenzio ha preceduto l’ingresso delle artiste, ciascuna dotata di un piccolo megafono. Per tanto tempo costretti a tacere, ora i Sámi hanno deciso di alzare la voce, anche come ammonimento per tutti gli altri popoli della terra. E’ un grido che proviene da una trincea avanzata di fronte ai pericoli che corrono la natura e la società umana. Il loro linguaggio è quello polare degli yoik, canti tradizionali di montagna.
Sul palco della Sala Zubin Mehta, allestito con alcuni essenziali elementi scenografici riferiti alle tende di stoffa e pelli dei pastori, le performer hanno intrecciato le loro danze fortemente significative dell’importanza della coesione e della solidarietà di tutto un popolo. Da soli non c’è salvezza; insieme è possibile ritrovare la pace con la natura e il senso dell’esistere umano: “Ho sentito il bisogno di creare un’esperienza di danza e canto in cui la connessione con il luogo (la terra, la natura) e la solidarietà fossero i temi principali”, conferma la coreografa.
Il pubblico ha colto pienamente la forza dello spettacolo e il messaggio giunto dall’estremo nord del pianeta.