Danza al Teatro del Maggio: emarginazione e redenzione del corpo queer

La seconda giornata del festival di Fabbrica Europa

Firenze – Un magnifico trittico nella seconda giornata del festival Fabbrica Europa, una sorta di minirassegna di quanto succede nei laboratori della danza contemporanea, con tre diversi stili, concetti, soluzioni spettacolari. Le performance sono state messe in scena in tre spazi diversi del teatro del Maggio fiorentino, scelti accuratamente per esaltare le rispettive cifre artistiche.

Si è partiti dalla Chiostrina illuminata ancora alla luce del giorno con Monumentum the second sleep/prima parte il solo di Cristina Kristal Rizzo interpretato dalla straordinaria danzatrice giapponese Megumi Eda, una profonda riflessione sulla forza del ricordo che sublima dagli oggetti , testimoni silenti dell’esistenza. La danzatrice cerca di ritrovare attraverso di essi, il contatto, il pensiero, la memoria, un percorso per esorcizzare l’angoscia della solitudine. Ma non si può fermare il tempo, neanche nascondendosi sotto una coperta con i colori e la trama di una tana confortevole che favorisce l’oblio. Allora è meglio tornare a ripercorrere e reinterpretare quegli oggetti, lasciando libero corso alla forza espressiva e vitale del corpo. E’ qui l’unica possibilità di salvezza.

That’s all folk! creazione di Damiano Ottavio Bigi e Alessandra Paoletti coprodotta da Fabbrica Europa è andata  in scena sul palco dell’Auditorium Zubin Mehta. Uno spettacolo complesso con quattro interpreti Ching-Ying Chien (Taiwan), Issue Park (Corea), Faith Prendergast e lo stesso Bigi e una scenografia lunare, alienante e spiazzante, come è irrisolto il rapporto fisico e intellettuale dell’umanità che si muove nella totale relatività di un “orizzonte degli eventi”. Fra i dati di una scienza che sembra approfondire la conoscenza, ma la rende sempre più fredda e lontana, e le illusioni di miti che aiutano a sopportare questa lontananza , anche ricorrendo all’immaginario posticcio e artificiale di uno show.

L’ultimo pezzo del trittico, Batty Bwoy presentato da Harald Beharie coreografo e danzatore norvegese di origini giamaicane, è stato un vero e proprio evento. Per assistervi gli spettatori sono stati guidati in un percorso insolito all’interno del teatro per raggiungere il Retropalco, cuore nascosto e intimo del teatro. Una sorta di cammino di iniziazione che ha loro permesso di vivere un’esperienza unica.  Soltanto con i movimenti del suo corpo completamente nudo, in tutte le possibili variazioni (fremiti, potenza muscolare, scatti violenti etc.), Beharie ha conquistato l’emozione del pubblico disposto in un grande quadrato intorno a un giaciglio di metallo colorato di rosso. In circa 70 minuti di performance ha raccontato emarginazione, fragilità, incertezza  e redenzione delle identità queer. Negato e umiliato in mille modi, condannato socialmente come deviante e mostruoso, il corpo nudo di Beharie si è imposto al pubblico in un dialogo diretto, spesso ravvicinato, non in modo provocatorio, per sollevare scandalo e rifiuto come accadeva un tempo, ma toccando le corde della solidarietà, dell’amicizia e della conoscenza.  Concludendo con la simulazione di un atto d’amore rivolto a tutti . Before making a revolution let’s make a general copulation (Peter Weiss, Marat Sade).

In foto HARALD BEHARIE BattyBwoy ( ph Julie Hrncirova)

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