Dalla ex Gil al match scudetto

Andavo all’ex Gil a vedere La Torre. Era la squadra di basket della città. L’unica. Disputava il campionato di serie B. Naturalmente senza stranieri. Anzi i giocatori erano tutti reggiani. Da Zecchetti a Caldiani, a Gasparini, a Fabbi, poi Spaggiari. Teste quadre. Era, credo, il 1965. E io poco più che bambino. Avevo il cuore granata e passavo la settimana a scuola a contare i giorni che mi separavano dalla domenica. Il Mirabello con la carbonella e le gradinate in ferrotubi erano il mio rifugio preferito. Ma iniziai a seguire la pallacanestro (allora si parlava in italiano) e continuai. Ricordo un match con Cagliari giocato alle undici della domenica mattina. O messa o Gil. Poi le gare con Vigevano, il Gira Bologna, e soprattutto il Forlì che portava centinaia di tifosi. La palestra era circondata di sedie e da un lato erano stati sistemati tre, quattro gradini in legno. Davanti all’ingresso un tavolo con un signore che vendeva biglietti. Posti a sedere o in piedi? Un tifoso attempato ce l’aveva sempre cogli arbitri con imprecazioni sparate in faccia da due passi. Poi il trasferimento al palasport, inaugurato il giorno di Santo Stefano del 1967 in una riunione pugilistica con il campione del mondo Nino Benvenuti. Troppo grande il nuova pala, si pensava. E chi mai lo riempirà? Solo nel campionato 1979-80 i reggiani si innamorarono davvero del basket, chiamiamolo così. Era nata la Pallacanestro Reggiana. E la Cantine Riunite l’aveva sponsorizzata. Da Bologna arrivò il duo Ghiacci-Di Nallo, da Correggio il forte Rustichelli. Codeluppi e Grasselli completavano il rost. La partita col Leone Mare Livorno della primavera del 1980 la ricordo come uno sfregio. Venimmo sconfitti davanti a 4mila tifosi a pochissimi secondi dal termine e la promozione in A2 rimandata di due anni. La conquistammo a Udine nel 1982 dopo lo spareggio con la Necchi Pavia, grazie a un giocatore alto come il grattacielo di San Pietro: Tonino Fuss. Poi con Zappi alla guida ci consolidammo e l’anno dopo con Lombardi, Hacket e Bouie, conquistammo il paradiso cestistico. Era il 1984. Dado era un mostro di vivacità e di ingegno. Le sue parole erano quelle di un vate. Sidoli, detto il Santone, lo definì Dado Nostrum. Morse era magico nel tiro con la palla che si alzava e ciuffettava come teleguidata nel cesto. Alterne vicende, con salvezze a stento, retrocessioni e promozioni (quella del 1989 con Pasini la festeggiamo insieme), mentre il nostro Piero Montecchi calcava i palcoscenici di tutto il mondo. Poi altri successi, col più grande giocatore che abbiamo ospitato a Reggio, Mike Mitchell, culminati con la semifinale scudetto del 1998, ancora acchiappata grazie al carisma del Dado Rinostrum e a quel Basile che salirà ai vertici del basket mondiale. Fino ai giorni d’oggi, dopo le promozioni del 2004 e del 2012, targate Landi. Così oggi, sembra davvero un sogno, ci giochiamo lo scudetto. Siamo al Max (Menetti). L’altra sera ho anche litigato di brutto con due che stavano seduti durante l’inno. Che maleducazione. Come entrare in chiesa col cappello in testa. Dopo il 3 a 2 mi sono ritrovato senza voce, sudato fradicio, arrossato, ma felice. Poi le emozioni intense di gare sei in piazza con tremila reggiani. E il ferro del tricolore ove s’infrangono i sogni di gloria coi cinciacanestri svaniti d’un soffio. Il domani è già oggi. Mi sono venuti in mente i vecchi dell’ex Gil, quell’odore di stantio e quel signore che urlava frasi sconnesse agli arbitri e quelle sedie a cornice del parquet in legno. E mi è venuto in mente che il tempo passa, inesorabilmente, e quel signore attempato adesso sono io. Il sudore è profumo di alloro? La velocità non ci permette neppure di godere un momento. Quando finirà giocheremo ancora e per sempre con Sassari trasformando questa infinita cavalcata in ricordi cullati al ritmo e al sapore di un finale che ancora non conosciamo. Sarà vera gloria comunque vada? No, giusto Dio dei canestri, deve andare.

 

 

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