Dalla Catalogna, storia delle Urne del 1 Ottobre

Da Barcellona

PRIMA PARTE

Ho cominciato a scrivere questi appunti ascoltando il telenotizie. Hanno arrestato Jordi Sánchez e Jordi Cuixart, rappresentanti di Assemblea Nacional (AN) e Òmnium Cultural rispettivamente. Sono le organizzazioni che hanno indetto e coordinato le manifestazioni dell’11 settembre e quelle di protesta del 20 settembre 2017, quando erano stati arrestati diversi funzionari e lavoratori del governo catalano per la loro partecipazione all’organizzazione del referendum. Queste due persone sono adesso in prigione preventiva accusati di sedizione. In nessuna delle manifestazioni c’è stata mai la minima violenza. Il 20 settembre io ero presente, a pochi metri da loro. Sí, erano saliti in piedi su tre macchine della polizia e parlavano ai partecipanti. La consegna era sempre ‘mantenere la calma’. Oggi sono prigionieri politici nella Spagna del 2017.

Ma non è di questo che pensavo di parlare oggi. Continuo con il cuore pesante per questa ingiustizia. Volevo raccontare come il movimento popolare ben coordinato ha fatto possibile il referendum, rispondendo alla domanda ‘ma dove diavolo erano le urne???’.

La polizia spagnola da mesi aveva perquisito tipografie, magazzini, locali… alla ricerca di urne e schede. Aveva sequestrato alcune urne e alcuni milioni di schede. Aveva portato in commissariato tipografi e cantato vittoria ad ogni sequestro di materiale. Tutti eravamo preoccupati ma il governo catalano diceva ‘avremo urne e schede’. In precedenza era stato indetto un concorso per la fabbricazione delle urne, ma anche se inizialmente due ditte si erano presentate, poco dopo si erano ritirate per la pressione di Madrid. Io scherzavo: le compreranno in Cina, dove costano poco e ne possono fabbricate molte!

1 ottobre, 5.10 della mattina. Andiamo al nostro seggio pieni di sonno e di speranza. Ci sono già più di cento persone, senza contare i ragazzi che avevano dormito lì, per impedire che la polizia ne impedisse l’accesso. Si parla emozionati, anche se non ci conosciamo ci sentiamo vicini. Qualcuno monta una bancarella per offrire caffè, acqua e panini a tutti nel corso di una giornata che si prevede lunga. Dopo un’ora di attesa si apre un corridoio tra la gente. Una persona entra correndo con un sacco in mano mentre si sussurra ‘niente foto!’. Le urne entravano nel seggio.

SECONDA PARTE

Ma… da dove venivano le urne? Sembra incredibile, ma venivano davvero dalla Cina. Il governo catalano le aveva comprate da diverse settimane. Erano arrivate in nave fino alla Francia ed erano state riposte ad Elna, una città non lontana da Perpinyà, vicina alla frontiera. Ad Elna un’ostetrica coraggiosa, Elisabeth Eidenbenz, aveva creato, nel 1939, una maternità dove partorirono 600 donne, per lo piú catalane, esiliate dalla Catalogna e recluse nei campi di concentrazione di Argélers e dintorni. I loro bimbi sono oggi persone vive grazie a questo. Mi pare un fatto simbolico.

Bisognava poi trasportare le urne attraverso i passi di frontiera, fino ai seggi di destino. Alcune centinaia di cittadini, con le loro automobili o con piccoli furgoni, per le strade o per i sentieri usati anticamente dagli esiliati le portarono in Catalogna, in magazzini, garages, fattorie, pagliai. Altre persone, avendo ricevuto un messaggio (su Telegram o Signal, mai su Whatsapp), avvisate all’ultimo momento di un luogo e un’ora, andarono a ritirarle, due, tre, massimo dieci urne per uno. Le comunicazioni si realizzavano in segreto, spesso tra sconosciuti, con il cellulare spento per evitare possibili registrazioni. Le ultime notti le urne riposavano in case private, nell’armadio o sotto il letto, nello sgabuzzino o tra gli alberi del giardino. E da qui ai seggi, quando ancora era buio, prima che le diverse polizie si presentassero per cercare di precintarli. Si poteva cominciare a votare.

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