Firenze – La rivoluzione del lavoro così come l’abbiamo sempre conosciuto è alle porte, il ministro Poletti annuncia che partirà dal 1 marzo, vale a dire quando i primi due decreti attuativi del Jobs Act entreranno in vigore dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. A diventare realtà concreta sono il nuovo contratto “a tutele crescenti” e i nuovi ammortizzatori sociali. Gli altri due decreti attuativi della legge 183/2014 meglio conosciuta come Jobs Act per entrare in vigore dovranno attendere l’espletamento dei passaggi nelle commissioni parlamentari competenti. Questi ultimi riguardano il riordino delle tipologie contrattuali (con l’eliminazione dei co.co.pro. e, dal 1° gennaio 2016, l’applicazione delle norme sul lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione personali con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro), la revisione della disciplina delle mansioni e le disposizioni sulla conciliazione dei tempi vita-lavoro.
Intanto, facciamo un po’ di chiarezza sul nuovo contratto “a tutele crescenti”. Come spiega una nota della Cgia di Mestre, il nuovo contratto, che si applica ai lavoratori assunti a tempo indeterminato, disciplina in modo innovativo i licenziamenti individuali e collettivi. Vale a dire, saltato l’articolo 18, la nuova disciplina prevede varie fattispecie, fra cui i licenziamenti discriminatori nulli intimati in forma orale, per cui resta la reintegrazione nel posto di lavoro, norma peraltro valida per tutte le tipologie del lavoro; i licenziamenti disciplinari, in cui la reintegrazione resta solo per la fattispecie in cui risulti accertata “l’insussistenza del fatto materiale contestato”. Per gli altri casi, se si accerta che non sussistono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, scatta la tutela risarcitoria certa, che viene commisurata all’anzianità di servizio. Cosa significa? In questi casi non è più prevista la reintegra sul posto di lavoro. Insomma, pagata una sorta di “sanzione” da parte del datore di lavoro, il lavoratore è licenziato. Anche se si tratta del cosiddetto “licenziamento ingiustificato”. E quanto paga, chi licenzia? La regola è questa: il risarcimento è versato in misura pari a due mensilità per ogni anno di anzianità di servizio, con un minimo di 4 ed un massimo di 24 mesi.
E se si volesse evitare di andare in giudizio? Allora si apre la strada alla nuova conciliazione facoltativa incentivata. Ecco il meccanismo di questa nuova forma: il datore di lavoro offre una somma esente da imposizione fiscale e contributiva pari ad un mese per ogni anno di servizio, non inferiore a due e sino ad un massimo di diciotto mensilità. Con l’accettazione il lavoratore rinuncia alla causa.
Per quanto riguarda altre fattispecie, è prevista quella della violazione delle procedure o dei criteri di scelta: anche in questa occorrenza, si applica sempre il regime dell’indennizzo monetario che vale per gli individuali (da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità).
C’è poi il caso del licenziamento collettivo intimato senza l’osservanza della forma scritta: la sanzione resta quella della reintegrazione. Per farla breve per le piccole imprese la reintegra resta solo per i casi di licenziamenti nulli e discriminatori e intimati in forma orale. Negli altri casi di licenziamenti ingiustificati è prevista un’indennità crescente di una mensilità per anno di servizio con un minimo di 2 e un massimo di 6 mensilità.
L’altro passo concreto, dal primo marzo, della nuova legge sul lavoro è quello che riguarda gli ammortizzatori sociali. In caso di disoccupazione involontaria e ricollocazione dei lavoratori disoccupati ecco la nuova disciplina. Intanto prende vita la Naspi (nuova assicurazione sociale per l’impiego). L’ambito di applicazione riguarda le ipotesi di perdita del posto di lavoro che si verifichino dal 1° maggio 2015. Si applica anche a tutti i lavoratori dipendenti che abbiano perso l’impiego e che abbiano cumulato almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni di lavoro e almeno 18 giornate effettive di lavoro negli ultimi 12 mesi. La prestazione è condizionata alla partecipazione del disoccupato ad iniziative di attivazione lavorativa o di riqualificazione professionale, e dura per un numero di settimane pari alla metà delle settimane contributive degli ultimi 4 anni di lavoro, e l’ammontare dell’indennità è commisurato alla retribuzione e non può eccedere i 1.300 euro.
L’altro strumento che viene introdotto dalla nuova legge è l’Asdi (assegno di disoccupazione), introdotto in via sperimentale per quest’anno. L’assegno verrà riconosciuto per 6 mesi (fino ad esaurimento dei 300 milioni del fondo specificamente costituito), in misura pari al 75% dell’indennità Naspi, a chi, dopo la scadenza della Naspi, non ha trovato impiego e si trova in condizioni di particolare necessità. Infine, ecco la Dis-Col (Disoccupazione per i collaboratori). Questa norma regola le sorti dei co.co.co. iscritti alla Gestione separata INPS che perdono il lavoro e che vantano tre mesi di contribuzione nel periodo che va dal 1° gennaio dell’anno precedente l’evento di disoccupazione alla data dell’evento.
Da non dimenticare, per tentare previsioni dell’impatto che il Job Acts potrebbe avere sul mondo dell’occupazione italiano, il fatto che la Legge di stabilità approvata a fine 2014 ha introdotto un beneficio fiscale per le nuove assunzioni a tempo indeterminato.
Nello specifico, si tratta di una riduzione di tasse per chi assume a tempo indeterminato che può raggiungere i 24mila euro su tre anni. Un beneficio che ancora non si sa se potrebbe reggere anche per il 2016, ma, come scrive l’economista Pietro Garibaldi sul fattoquotidiano.it, la domanda di lavoro nel 2015 sotto la spinta di questa riduzione del cuneo fiscale sulle nuove assunzioni, dovrebbe aumentare. Anche se, avverte sempre l’economista nel suo blog (http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/24/jobs-act-contratto-tutele-crescenti-legge-buona-notizia/1451451/), i suoi effetti non dovrebbero essere confusi con quelli del contratto a tutele crescenti.