Gli anni ’60 hanno dato la stura ad una serie di critiche sulla società che ha costretto un po’ tutti a fare i conti con l’incertezza di ruoli che si davano per assodati da, ecco, da sempre: tra questi, il primo a cadere è stato il mito del Maschio, che spossessato delle sue prerogative e certezze sociobiologiche ha cercato per un poco di rifugiarsi nell’estremo rifugio del SuperOmismo. Il Rag. Peletti, quarto piano interno B, come Superman, Batman, Acquaman. Una ridicola mascherata che si è rapidamente sgretolata sotto i colpi impietosi degli obici degli strali femministi: la liberazione sessuale di Marcuse doveva, evidentemente, avvenire solo per le donne, mentre gli uomini, che tanto leggevano solo la Gazzetta dello Spot, potevano tornare sul freudiano e soddisfarsi cercando simboli fallaci in bastoni, ombrelli e chiavi da scordare.
Il SuperOmismo, insomma, appena nato era già confinato ai giornaletti e nemmeno Alan Moore sarebbe più che tanto riuscito a sdoganarlo come disciplina mentale salvifica; rozzo, semplicistico, ingenuo, doveva lasciare il passo al nuovo che avanzava e all’Era dell’Acquario. Nessuno pare abbia fatto caso, invece, al fatto che il vuoto che si è venuto a creare nell’immaginario supereroistico frustrato sia stato immediatamente colmato da un’altra e altrettanto ingenua, rozza, semplicistica narrazione: quella del SuperDonnismo con tutte le sue preci ed i suoi parafernalia. Prima tra tutte, la celebrazione della liturgia televisiva.
La letteratura colta di sinistra che aveva fornito tanto carburante per il cambiamento sessantottino, ammucchiatasi nei tanti scatoloni nei garage delle ex combattenti oggi ascelledepilantesi e sopraccigliodelineantesi, oggi finalmente viene considerata per il cumulo di minchiate sessuofobiche che in effetti era, ed è finalmente libera di fornire carburante per le tante stufe delle seconde case in collina avanzate dalla redistribuzione socialista; largo pertanto a Sex and the City, Grey’s Anatomy e mille altre simili brodetti in salsa rosa che, abbandonate frettolosamente le iniziali velleità ironiche, si sono date a voler delineare un nuovo universo femminile fatto di sesso libero, spendereccio e soprattutto compulsivo tanto come quello, decisamente immaginato, maschile. Oggi cinema e TV sono liete di poter fornire un modello adeguato in cui la Donna Che Non Deve Chiedere Mai possa usurare la propria carta di credito in mille rivoli all’inseguimento di una femminilità che passa soprattutto per l’acquisto dei necessari accessori, mentre i maschi, stanchi di tanto ardire, si contentano della caviglia anche un po’ pelosetta della giovane badante moldava, che ha capito che il potere sta in qualcosa di diverso dal telecomando.
Ma ad appianare le frustrazioni incombenti del sesso fu debole interviene tutta una mitologia rassicurante che vuole la Donna non tanto alla pari (sarebbe sennò una domestica), ma anche superiore all’Uomo, visto anzi come una inutile propaggine razziale non ancora assorbita, un po’ come i denti del giudizio. La Donna oggi è più intelligente dell’uomo: ha il doppio dei suoi neuroni, lo dice la Scienza. È più resistente al dolore: ovvio, è fatta per concepire. E’ più sensibile: si nota subito dal totale dei fazzoletti usati. Vede in uno spettro più vasto, ed è una proprietà transitiva: anche i gay possono scegliere tende della sfumatura appropriata, mentre all’Uomo, come al cane di casa, non resta che una visione a 50 sfumature di grigio.
E’ più resistente all’accelerazione gravitazionale, posto che non sia una maggiorata e che ci si fermi di botto, altrimenti poi vedi che spettacolo. E’ più resistente alle malattie, alla voglia di studiare, ai fascismi, alla forfora, alla caduta dei capelli e alla tentazione di non infilarsi in quella mostra piena di cagoni snob tanto pubblicizzata nei circuiti bene. Solo a una cosa non ha resistito: al desiderio bruciante, imperativo, irresistibile di spossessarsi anch’essa della propria dignità di persona singolare, di entità prese una per una, ciascuna coi suoi vissuti e con le sue porche e preziose debolezze, per andarsi a infilare nell’ennesimo mito ricreativo a uso e consumo dei compilatori di elenchi di socio patologie sempre in crescita, e chi non si vede rappresentato in qualche misura in queste liste si sente un po’ fuori partita. Così, dopo aver sgonfiato il SuperOmismo e le sue pretese ridicole che tanta insicurezza nascondevano, e dopo avere abbracciato un identico e addirittura peggiore SuperDonnismo che, oltre a non lenire le insicurezze preesistenti ne va anche ad ammucchiare di nuove e peggiori, volgiamo gli occhi fiduciosi ad un futuro prossimo che sa già di presente ed attivo di SuperOnanismo, al termine del quale forse rimpiangeremo le paranoie del Dottore Freud come in fondo, e tutto sommato, ancora goliardiche e rassicuranti.