Da Sanremo a Santaresa: Zelensky chi?

Un Sanremo che più stonato non si può quello del 2023

L’immagine, di più, l’icona che resterà del festival sanremese da mo’ ai titoli di coda, sarà quella del bacio, saffico, omo, neutro, boh, chissenefrega poi, tra il rapper Fedez e il, la, boh chissenefrega poi concorrente canoro Rosa Chemical. Alla francese. Una bella slinguata anche virale, nel senso di immediata propagazione social, che raggiunge l’acme non tanto dell’eros esibito o quanto della non-linea culturale impressa al Festival dei festival. Quella del tentennamento, del donabbondismo, della monoscimmietta (non vedo, non sento ma parlo), dell’iperdirittismo propalato, a diritti stra ed ultra acquisiti ma dell’aggiornamento storico negato, della resistenza da salotto, dell’antifascismo da palco. Facendo però finta di niente di fronte ad una sorta di neo-nazismo travestito da rivendicazioni soviet, ormai chiaro a (quasi) tutto il mondo.

Eppure il baraccone era pure partito bene, col Benigni, vabbè un po’ paraculeggiante ma ci sta, che spiega al plaudente Presidente Mattarella, nella prima volta di un Capo di Stato a sdoganare quelle che non son solo canzonette, la bellezza della Costituzione italiana. Chi ben inizia è a metà dell’opera, si dice. Si dice appunto perché poi il finale della settimana canterina che più cantereccia non si può, ha esposto il Paese ad una delle figuracce internazionali più profonde degli ultimi tempi. Il presentatore nonché direttore artistico Amadeus (altresì soprannominato Amasgheus), dopo che l’intellighenzia della riviera floreale aveva optato per l’assenza fisica di uno Zelensky che in quelle ore otteneva appoggi in e da tutte le kermesse ed i Parlamenti dei Paesi occidentali più avanzati, leggeva infatti il messaggio zelenskyano alle 2.15 della notte o della mattina, poco prima che le campane suonassero l’appuntamento con le liturgie della domenica. Ma come? Passiamo l’intera settimana ad erigerci araldi della buona società sorbendoci pipponi su tutti i diritti possibili immaginabili e le vere o presunte loro violazioni, poi proprio davanti ad un leader di Stato da un anno in qua bombardato senza pietà nella sua popolazione civile, che rivendica il più dritto tra i diritti, quello della libertà e tu che fai, mi indossi i panni dell’astensionista?

Ma a far saltare letteralmente le staffe, dicono i meglio informati, direttamente alla Premier Giorgia Meloni sarebbe stato non certo la poco erotizzante limonata Fedez-Rosa Chemical, quanto il gesto stracciatorio sempre da parte del Fedez gran mattatore festivaliero, nell’atto di fare a brandelli la foto del viceministro Galeazzo Bignami ritratto nella famigerata foto della cena d’addio al celibato 2005 con camicetta nazi. Non tanto o non solo per l’appartenenza del politico bolognese allo stesso partito della Meloni quanto piuttosto perché l’additare nell’eventuale contendente politico il male assoluto, rischierebbe di provocare nelle menti più psicolabili soggiacenti a meccanismi emulativi, magari il desiderio di passare dalle provocazione mediatica ai fatti. Prendendosela cioè anche fisicamente col Bignami di turno. Ipotesi speriamo quanto mai improbabile contro cui da queste stesse pagine immateriali cerchiamo spesso di mettere in guardia da tempi non sospetti piccandoci di fungere talvolta da sentinelle della democrazia quando la stessa rischi di venire messa in discussione da sinistra come da destra o dal centro che sia. Paradossalmente (ma chissà poi se i branditori se ne rendano conto) un manganello televisivo in presunta funzione anti-totalitarismi che ricorda, quello sì ahinoi, quello fatto vibrare nel ventennio per colpire, in questo caso fisicamente, i propri avversari politici e/o ideologici.

Insomma una scia tanto, fin troppo fluida. Su cui prima o poi la trappola del clamoroso scivolone scatta molto più inesorabilmente e pericolosamente dei gradini dell’Ariston.

In foto Marco Mengoni

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