Regia: Alice Rohrwacher.
Top star: Monica Bellucci.
Italia 2014.
Undici minuti d’applausi al termine della proiezione e il Gran Premio della Giuria di Cannes (mica il Festival di Massenzatico, con tutto il rispetto per Massenzatico). Di fronte a certi riconoscimenti il giudizio si oggettivizza, no? “Le meraviglie”, opera prima di Alice Rohrwacher, deve per forza essere bello. Ribadiamo: Gran Premio della Giuria di Cannes e 11 minuti d’applausi. Solo il ragionier Ugo Fantozzi, stroncando la Corazzata Potemkin, aveva ottenuto di più in termini d’applausi (92 minuti).
Eppure, analizzata e rianalizzata la situazione qui al Bar De Curtis, dove si parla di cinema come se fosse calcio e tutti sono convinti di capirne a pacchi, il giudizio su “Le meraviglie” non va oltre una domanda: quindi? In alternativa: tutto qui? Lentezza e silenzi sono funzionali a una storia quasi documentaristica, allo spaccato di vita contadina che sopravvive in una famiglia chiusa in se stessa soprattutto per volere del pater familias. Il fatto è che…succede poco. Esistono anche i film descrittivi, per carità, ma qui torniamo alla premessa: 11 minuti d’applausi e Gran Premio della Giuria di Cannes? A “Basilicata coast to coast” di Rocco Papaleo – restando in tema di film fuori tempo e fuori spazio – allora avrebbero dovuto dare direttamente l’Oscar.
Di una cosa diamo atto a “Le meraviglie”: l’anticonvenzionalità. Chi si trova davanti allo schermo non può non avvertire un minimo di disagio, quasi stesse spiando dal buco della serratura. Però il problema è che c’è poco da spiare. Stupisce? Commuove? Intenerisce il cuor? Fa riflettere? Disturba? Indigna? Regala un po’ di sana nostalgia canaglia? No, sette volte no. Piuttosto fa chiedere conto di alcune stranezze: perché ‘sta famiglia parla anche francese e tedesco? Perché sempre a questa famiglia viene affidato dai servizi sociali un ragazzino tedesco? E’ un’azienda agricola italiana o un centro di recupero internazionale?
Onore al merito al coraggio di regista e produttori, bene (stranamente) Monica Bellucci nell’episodio della troupe televisiva, voluto trash di grana fina il tormentone musicale “T’appartengo”, immortale capolavoro di Ambra Angiolini.
Immancabilmente poetico un finale “alto”, da cinema d’autore. Qui al Bar De Curtis però l’ignoranza ci permette di ignorare (appunto) gli 11 minuti di applausi, il Gran Premio di Cannes e pure il finale da intenditori. Per noi “Le meraviglie” è noiosetto. E pure un po’ bruttarello.
Disconnect
Regia: Henry Alex Rubin.
Top star: Jason Bateman.
USA 2012.
Partiamo dalla fine, ammettendo di avere un debole per i film che non finiscono bene. Il che assegna un punto in più, d’ufficio, a questo poco reclamizzato “Disconnect”, che potendo contare sul fattore sorpresa va parecchio al di là di aspettative pressoché inesistenti.
Degenerazione dei rapporti umani all’epoca dei social network, tra cyber bullismo, corpi in vendita on line, report giornalistici a caccia di scoop, chat di cuori solitari e clonazioni di carte di credito.
Tutto molto attuale, tutto molto portatore d’ansia (amplificata da un’azzeccata colonna sonora strumentale). Se un appunto si può muovere è quello della non eccessiva originalità, perlomeno nella circolarità delle storie, che ricorda non poco il premio Oscar “Crash-Contatto fisico”. Amen. Questo è cinema che fa il suo lavoro, ti tiene lì, davanti allo schermo, per vedere come va a finire. Facendoti pure riflettere. Bene, perbacco.