LE NOTE MUSICALI
Le sette note musicali sono esistite fin dai tempi antichissimi ma vi siete mai chiesti quale fosse l’origine del loro nome? Ancora una volta è il nostro amico Medioevo che ci viene incontro! Il monaco benedettino Guido d’Arezzo, nell’XI secolo, nominò le note utilizzando le sillabe dei primi sei versi di “Ut queant laxis”, un inno dedicato a San Giovanni Battista:
«UTqueant laxis
REsonare fibris
MIra gestorum
FAmuli tuorum
SOLve polluti
LAbii reatum
Sancte Johannes».
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“METTERE LE CORNA”
Il termine di uso comune “mettere le corna” deriva, come sempre, dal nostro Medioevo: ci troviamo a Bisanzio quando l’imperatore Andronico I Comneno, un grande amatore e abile seduttore, cospirò violentemente contro Manuele I, suo cugino, che si trovò obbligato ad imprigionarlo. Andronico, pur di salire sul trono, era pronto a tutto tanto che uccise la vedova di suo cugino e l’erede Alessio II tessendo per tutto il tempo relazioni peccaminose e talune volte anche incestuose.
Lottò prepotentemente contro gli aristocratici: li faceva arrestare, rapiva le mogli con cui usava divertirsi per molto tempo e, in senso di sfregio, appendeva sui palazzi delle sue vittime teste di cervi uccisi durante le innumerevoli battute di caccia.
Nell’anno 1185 i soldati di Guglielmo II, dopo la conquista di Salonicco, notarono questa strana usanza senza capirne il perché: quando gli fu spiegato nacque il termine “mettere le corna”. La parola “cornuto” ebbe, quindi, grande diffusione soprattutto in Sicilia.
Che fine fece Andronico Comneno? Fu linciato dalla folla proprio come fu raccontato da Boccaccio nel “De casibus virorum illustrium” in cui si raccontano le vicende di 58 personaggi famosi a cui la fortuna voltò improvvisamente e rovinosamente le spalle.
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“SIAMO AL VERDE”
Quante volte, soprattutto negli ultimi anni, abbiamo detto “sono al verde”? Vi siete mai chiesti da dove viene questa particolarissima espressione? Ancora una volta è il Medioevo ad aiutarci . Secondo alcuni studi sembra che chi avesse fallito con la propria attività commerciale era obbligato a portare un berretto verde in segno di scherno. Perché il verde? Perché era il colore con cui i forzieri venivano rivestiti al loro interno comprese anche le fodere delle borse che si usavano per portare il denaro, e quando si arrivava a vedere interamente il colore, ormai era troppo tardi. Secondo un’altra teoria, l’espressione deriverebbe da un’usanza medievale che prevedeva l’accensione di una lanterna verde quando era pronto il cibo per una speciale categoria di poveri, i “vergognosi”, coloro cioè che non erano nati poveri ma che lo erano diventati e che per questo motivo non si adattavano alla questua “normale”. Questa usanza permetteva loro di entrare nell’ente caritatevole in silenzio, senza bussare, con minori probabilità di essere visti.
Oppure: solamente i poveri non avevano i soldi per comperare una candela nuova quando essa era finita, cosicché la utilizzavano fino alla base, che, un tempo, era sempre di color verde.
Nelle sue Note al Malmantile riacquistato (1688), Paolo Minucci ricorda come nelle aste pubbliche del Magistrato del Sale di Firenze si adoperassero, come ‘segnatempo’, delle lunghe candele di sego tinte di verde nell’estremità inferiore: quando la candela arrivava “al verde”, l’asta si chiudeva. Da qui era nata l’espressione la candela è al verde, per indicare che il tempo era finito, ma anche essere al verde di denari, che in seguito nell’uso comune si è contratta nell’attuale essere al verde.
A Padova si dà per certa l’origine della frase dalla sala verde dell’antico Caffè Pedrocchi, dove per antica tradizione chiunque può accomodarsi senza consumare.
Altri sostengono che l’espressione sia nata nelle case da gioco. Il giocatore che ha perso tutte le sue fiches quando guarda il punto dove teneva il proprio gruzzoletto vede solo il tavolo da gioco, tradizionalmente verde.
Altra teoria, emiliano-romagnola: l’arrivare al verde della buccia di un cocomero, dopo aver consumato il rosso, raschiare il fondo sino ad arrivare al fondo.
Un’altra teoria fa riferimento al colore delle prime cambiali che erano appunto di colore verde. Chi rimaneva senza denaro poteva pagare con le cambiali che erano di colore verde.
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UN PO DI CUCINA: IL TIRAMISU’
Chissà se i detrattori del Medioevo mangiano il Tiramisù… ve lo dico perché, nel cercare sempre argomenti interessanti, sono incappata in questa curiosità: anche il Mascarpone ha origini medievali…eh sì…che epoca buia!
Il Mascarpone è una crema di latte acidificata ottenuta da panna o crema di latte: il nome (Mascarpone o Mascherone) deriva da un’espressione utilizzata da un nobile spagnolo nel ‘200 che avrebbe detto “Mas che bueno” (Più che buono) anche se alcuni studi fanno risalire l’origine del nome a “mascherpa” o “mascarpia” che significa ricotta nel dialetto lombardo.
Nel XII secolo si iniziò la produzione e il consumo della deliziosa crema anche per non sprecare il latte in eccesso. Napoleone era un fan accanito di questa particolare crema e, addirittura, si narra che fu causa del suicidio di François Vatel, un cuoco famosissimo per aver inventato la crema Chantilly.
A fine del IX secolo gli arabi arrivarono a conquistare l’Andalusia e la Sicilia importando anche le più importanti tradizioni culinarie tra cui la coltivazione della canna da zucchero, utile a secernere un succo particolare in grado di dolcificare al posto del miele non adatto alla creazione del gelato. Lo zucchero di canna era sciolto e poi fatto addensare per creare sciroppi atti alla conservazione di alimenti in particolar modo la frutta.
Questo sciroppo dolciastro utilizzato anche come bibita rinfrescante proprio in Sicilia date le alte temperature… si prendeva la neve che abbondante cadeva sull’Etna, la si conservava anche con l’uso del sale e veniva poste in cantine dove si poteva conservare alla giusta temperatura anche per molto tempo. Inoltre il terreno si mostrò particolarmente favorevole alla coltivazione di agrumi. In oriente ci si accorse che mettendo succo di frutto in un ripieno immerso nel ghiaccio tritato, esso si addensava trasformandosi in quella che oggi chiamiamo sorbetto, non a caso i maestri siciliani impararono proprio dagli arabi le più avanzate tecniche di conservazione e creazione della dissetante bevanda.
La parola sorbetto, secondo alcuni studiosi, deriva dall’arabo “sherbet” (bevanda fresca), secondo altri dal latino “sorbeo” (succhiare). Anche i cavalieri crociati si mostrarono avidi consumatori della bevanda, infatti quando tornarono dalla Terrasanta usavano portare con se ricette di sorbetti a base di agrumi e piante. Marco Polo stesso in Oriente apprese sistemi di congelamento all’avanguardia con acqua e salnitro. Particolarmente interessante è la testimonianza di Niccolò da Poggibonsi il quale, recatosi in pellegrinaggio in Terrasanta, raccontò come a Damasco fosse usuale bere bevande con ghiaccio:
“La detta città si è molto fredda e nelle montagne che sono dintorno si ci dura la neve infino a giugno e portasi detta neve in sui camelli a vendere in Damasco e ivi si vende di maggio e di giugno e anche la mettono nelle cantine e mangianla nelle loro abeverature” (P. Galetti, “Quando il freezer non c’era” in Medioevo 2002, n.5, pp. 78-84).
Molto interessante è un aspetto sul raffreddamento: abbiamo parlato del sale, o cloruro di sodio, ma si scoprì anche una validissima alternativa: il nitrato di potassio e l’anidride solforoso per arrivare a temperature anche sotto i -30°.