E’ con crescente orrore che in questi giorni assistiamo al disfacimento sociale-economico del Paese e al suo crollo geofisico, richiamo metafisico del legame tra etica e natura. A vedere le immagini di Genova sommersa dalle acque, delle Cinque Terre sotto il fango e (per antecedenza metastorica) dello sgretolamento di Pompei, la distanza tra i problemi reali, urgenti delle persone gli insulsi battibecchi dei politici diventa palese. E’ Doc, distanza obiettiva certificata. Davanti al dramma quotidiano di migliaia di italiani, milioni se pensiamo alla sopravvivenza generica tra tasse e carovita, qualsiasi persona di buon senso si fa di ghiaccio nel ripensare alle pantomime della Leopolda o ai festini di Arcore, ai salamelecchi di “Porta a porta” o ai comizi di Santoro. La realtà, fuori dai pulpiti o dalle tv (pubbliche e private), spesso coincidenti, è che da destra a sinistra chi amministra viene rincorso dalla gente comune.
Così De Magistris, tribuno della moralità in “Servizio pubblico”, fischiato appena fuori dagli studi televisivi, o Bruno Vespa, gran ciambellano dell’equilibrismo peloso, inseguito e spernacchiato nella vita concreta. O ancora Marta Vincenzi, primo cittadino del capoluogo ligure, con quel pedigree da quota rosa e super-sinistra, quasi aggredita dalla folla inferocita. Per non parlare degli uomini di Governo o, vicino a casa nostra, quel che di recente è avvenuto coi “civici” di Parma. Titani nei salotti buoni, Titanic nel mare in tempesta. La drammatica, inevitabile constatazione è che non rappresentano più nessuno, se non i loro particolari interessi di potere e demenziali privilegi. E davanti all’evidenza di una sommatoria di congiunture che mettono a rischio la democrazia stessa, lo sgomento si fa angoscia.
Ma perché, scusate lo sfogo e l’area presa a riferimento (tanto l’una vale l’altra), quelle mummie da eterna poltrona centrale che rispondono ai nomi di Rutelli, Buttiglione, Fini e Casini invece di blaterare di “terzo polo” (vi rendete conto, “terzo polo”?) non annunciano immediatamente che devolveranno una parte dei loro sproporzionati emolumenti per riparare i danni del nubrifagio? Esiste nel Paese qualche settore non diciamo pulito ma su cui riporre le speranze di risalita? La classe imprenditoriale, paraculata da regolamenti borbonici fino a ieri e oggi invocante carta bianca nei rapporti coi lavoratori? I banchieri, che escono immuni e arricchiti dai crac quando non salvati dai contribuenti? I manager dai profitti inversamente proporzionali al bilancio di società sempre più in rosso?
Le domande incalzanti hanno sempre in fin dei conti, la stessa risposta. Ci vorrebbe più senso di responsabilità individuale come collante culturale di tutte le professioni. Un codice deontologico diffuso naturalmente sui criteri della meritocrazia e dall’altra parte una solidarietà umana ed economica non esibita ma vissuta. Uno svecchiamento repentino delle classi dirigenti col prepensionamento di fatto di tutti coloro che hanno disastrato il Paese ma che ancora ne reggono il timone. Politici veri, cioè di carattere, preparati e morali che accantonino per sempre i teatrini sulle collocazioni e reintroducano pene severe per i reati fiscali e amministrativi, tanto più odiosi quanto più si acuiscono le distanze tra ricchissimi e poverissimi, Autorità in grado controllare e multare senza pietà, all’origine della catena, chi trae profitto dallo smisurato aumento dei prodotti finali anche in presenza di materie prime meno costose. Governanti capaci di non farsi ricattare dai poteri forti ma invece di tassare grandi rendite e grandi transazioni e costringere le banche a concedere prestiti per rimettere in moto l’economia. Ma tutto, davvero tutto passa dalla testimonianza personale di ciascuno. Diciamo allora col “Financial Time”: Berlusconi vattene, in nome di Dio e dell’Italia. Ma chiediamo ai manifestanti del Pd di Roma idee oltre all’antiberlusconismo. E per ora stiamo con Gesualdo Bufalino: il sonno è di destra, il sogno di sinistra. Votate una lucida insonnia