Cronache da TapignolaQuel 25 aprile Solitariosenza partigiani di sorta

Cronaca da Tapignola.

Sono trascorsi cinque anni da quel “25 aprile Solitario” nato dall’idea di ricordare pubblicamente Giorgio Morelli “Il Solitario” e Mario Simonazzi il comandante “Azor,” nella chiesetta che fu di don Pasquino Borghi.

Tapignola è luogo evocativo e simbolico nella sua sacralità, terra di missione per il sacerdote  medaglia d’oro della Resistenza. Le montagne avvolgono nel silenzio questo piccolo eremo dove unico segno dell’opera dell’uomo sono la chiesetta il campanile e la canonica, intorno solo prati fioriti. Si arriva in questo borgo centrale nella storia resistenziale ma geograficamente fuori dal mondo percorrendo una stradina stretta solcata di buche. Nella via che porta al sagrato ci si rende conto della quiete che invita a fare memoria di un tempo che qui pare essersi fermato a quel freddo giorno del ’44 quando qualcuno bussò alla canonica e prelevò don Pasquino. Qui più che altrove, forse perché il sangue dei martiri è seme che produce frutto, pare che quel tempo lontano ci chieda ragione e ci spinga a raccontare senza ostentazione l’eredità  che i protagonisti della lotta di liberazione ci hanno lasciato e tra questi numerosi cattolici.

Il 25 aprile 2012, ci siamo ritrovati insieme a Tapignola, luogo ideale di riconciliazione con la storia. Il primo ad accogliere le persone che arrivano da fuori è Graziano che come nella precedente edizione si occupa del parcheggio, è uno dei componenti dell’organizzazione, siamo poche persone, bastano le dita di una mano per contarci, abbiamo storie e provenienze diverse e  l’unica cosa che ci unisce è un’amicizia sincera.

Nella canonica già dal primo mattino le rezdore sono al lavoro, in cucina le torte pronte da tagliare e gli uomini fuori a disporre i tavoli per il pranzo. La chiesa all’interno è tirata a lucido come è d’obbligo nei giorni di festa e i gigli portati da Carlo, il responsabile dell’evento, rendono onore all’altare e alle giovani vite innocenti che saranno ricordate nella giornata, prima fra tutte quella di don Pasquino. Nessuna divagazione alla ricorrenza che celebriamo, restare al tema è doveroso e sacrosanto, è festa di Liberazione e ci basta.

Sul sagrato incontro Giovanni Lindo, mi dice di essere emozionato, non è da lui artista abituato a calcare le scene da una vita, ma qui è un’altra cosa e sull’artista prevale l’uomo con alle spalle la tradizione di una famiglia, una madre e una nonna che gli hanno insegnato la devozione e il rispetto. Sarà lui a presentare l’opera del professor Sandro Spreafico “ I cattolici reggiani dallo stato totalitario alla democrazia: la Resistenza come problema”. Per introdurre il lungo lavoro , meticoloso e non privo di problemi dello storico reggiano, Ferretti inizia con un ricordo che lo colpì: un monumento composto da una pila di volumi mastodontici eretto nel luogo dove i nazisti fecero un rogo di libri nella Berlino meta dei suoi concerti. Per quanto sia difficile pensare a un monumento alla Resistenza i sette volumi di Spreafico ne sono emblema. Il pubblico della mattina è raccolto e motivato a conoscere pagine che rimarranno una pietra angolare nella storiografia e che  raccontano di una città non ancora in pace con la propria storia. Si parla di cattolici che sembrano ora in estinzione,  giovani la cui unica ricchezza era data dalla fede, esempi di coerenza e di libertà: uomini di Dio. Figure impopolari all’epoca, esempi da seguire oggi che è richiesta una nuova onestà di fronte al bene comune. Si resta ad ascoltare la lezione magistrale del professore introdotta da Clementina Santi fino all’ora del pranzo senza fiatare poi, tutti a prendere posto per condividere il pranzo in un’atmosfera familiare che ricorda le sagre contadine di un tempo, qualcuno si ferma in compagnia anche solo per un piatto di polenta ed è ospite gradito. Nel pomeriggio le persone si alternano arrivano i giovani, la storia cede il passo alla testimonianza. Parole, preghiere e canti dalla voce chiara di Giovanni Lindo Ferretti accompagnato da Ezio Bonicelli al violino.

A concludere la giornata la santa Messa presieduta da don Giuseppe Dossetti insieme a don Alberto Nava . L’offerta è di una giornata vissuta in pace e serenità e fedele alle intenzioni: “Un 25 aprile insolito, lontano dalla retorica delle celebrazioni, libero, semplice, contadino. Mangiare e bere sull’aia, nessun monumento da ricoprire di frasi di circostanza solo un cielo e una terra superstiti e testimoni di giovani vite spezzate, in un luogo che costringe al ricordo sincero della Storia”.

Daniela Anna Simonazzi

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