Firenze – Tutto è successo dopo la sconfitta casalinga in Europa League da parte della Dinamo di Minsk. Montella fece dichiarazioni dure quanto impreviste (lui di solito aveva sempre difeso la squadra, come ha fatto ieri) ma anche poco chiare. Fece riferimento a giocatori che non erano da Fiorentina, o che almeno ora sapeva che non gli avrebbero mai dato le garanzie che lui voleva. Eppure quella “seconda” squadra aveva sempre fatto bene, quasi meglio della prima, vincendo su tutti i campi, anche in dieci contro undici, e segnando (cosa che invece in campionato le è sempre risultata assai ostica). Che voleva dire bocciare in modo così impietoso quella squadra? Era un messaggio alla società, che in pratica significava “non mi avete comprato giocatori che possano fare al caso”?
Era semplicemente un consuntivo tecnico prima di accingersi a rivedere la rosa, che a gennaio avrebbe dovuto essere comunque sfoltita di almeno tre o quattro elementi? Questi interrogativi ammontano praticamente alla stessa domanda e rivelano lo stesso umor nero: Montella non è contento dell’operato della società. Il caso Neto gli ha fatto dire che “è stato lasciato solo”. Le domande su Marin gli fanno dire che lui le partite le vuol vincere, e non perdere (ma anche qui bisognerebbe sapere: è perché Marin non è completamente in salute e va aspettato, o perché Marin non è un giocatore da Fiorentina?). A vedere le cose dal di fuori si ha la sensazione di una società che perde compattezza. Pradè andrà via; voci di partenza, anche se poi smentite, riguardano anche Macia; la presidenza sembra assorbita solo dal progetto stadio nuovo (per lei la fiducia incondizionata a Montella sembra più una specie di scaricabarile).
E poi il “progetto”. Quest’anno era dichiarata l’ambizione al terzo posto; ora si parla (realisticamente) di difficoltà a andare in Europa. Ma questo vorrà pur dire qualcosa anche per le prossime operazioni di mercato e per gli incombenti rinnovi dei contratti. Una società che sta in alto, che va in Champions o in Europa League può benissimo rinnovare a Aquilani o a Pizarro. Ma una squadra che galleggia nella mediocrità e che respira aria di rinuncia e di sfiducia? Vale la pena che insegua due ultratrentenni come Gila e Diamanti? Per fare cosa? Per ritrovarsi l’anno prossimo ancora con ingaggi pesanti (per quanti sconti possano fare, i due vecchietti non rinunceranno certo a emolumenti da “nazionali” e da campioni del mondo) e una squadra senza prospettiva?
La sconfitta di Parma esige che si rivedano tutti i programmi. Butto lì alcune idee, magari folli. Intanto cedere subito Neto, e l’idea di scambiarlo con Storari non mi dispiacerebbe. Poi, ovviamente, piazzare i giocatori in esubero, come Lazzari, El Hamdaoui e Yakovenko e cercare di valorizzare in prestito Brillante e Hegazi. Via anche Kurtic, che al momento non serve al gioco della squadra, che deve confermare un 3-5-2 interpretato più nel senso del possesso palla che non in quello del recupero palla e delle ripartenze veloci. Quindi decidersi su Marin e Ilicic (che io terrei, perché nessuno mi convincerà che, in assoluto, sono meglio di lui Diamanti o Giovinco).
In attacco una folle idea. E se si chiedesse al Liverpool di scambiare per cinque mesi Gomez con Balotelli? Balotelli a Liverpool è in tribuna; a Firenze avrebbe l’ultima chance di convertirsi al buon senso. Gomez è il tipico giocatore che nel calcio inglese, negli spazi e contro difese solitamente generose, può ritrovare gol e autostima, e in ogni caso il Liverpool lo può gestire senza sovraccaricarlo di responsabilità. È davvero un’idea tanto peregrina? Secondo me avrebbe sul momento un duplice effetto: quello di portare a Firenze un centravanti che parla lo stesso linguaggio tecnico del resto della squadra (tra l’altro, ricordiamolo, l’unica volta che Balo ha giocato con Pepito in Nazionale, Rossi è andato in gol dopo pochi minuti grazie a uno splendida giocata del compagno di linea), e quello di riportare un po’ di attenzione su Firenze e sul suo “progetto”, che a questo punto sarebbe un progetto per la Fiorentina ma anche per l’Italia, con quello che comporta di consensi e di simpatie da parte di tutto il nostro movimento calcistico. E questo conta per restituire attaccamento e convinzione ai giocatori.
Quando sono le condizioni psicologiche e morali a non essere più ottimali, ci vuole una scrollata a effetto. Andare al mercato per rattoppare con stoffa vecchia e consunta non serve. Approfittare di un momento no per rianimare i tifosi e i giocatori invece serve. E chissà che poi quei cinque mesi di prestiti non si trasformino in un vero e proprio colpo che dà un senso vero, e di grandeur, al nostro futuro.