Accade, in Eurolandia, che a pagare siano sempre gli stessi. Un leitmotiv stra-abusato, ma che ha del vero. Quanto meno con riferimento alla crisi greca. E pure con le tasche degli italiani. Vediamo perché, partendo dalle dichiarazioni rese dall’economista portoghese, Vitor Constancio, ai più sconosciuto, ma che, in realtà, dopo essere stato numero uno della Banca del Portogallo, fra il 2000 e il 2010, oggi è nientemeno che il vice-presidente della Bce.
Ebbene, nel corso di un recente convegno ad Atene, Constancio ha spiegato: “Penso che, per avere una storia più accurata riguardo le cause della crisi, dobbiamo guardare non solo alle politiche fiscali: gli squilibri si sono originati per lo più nella crescente spesa del settore privato, finanziata dal settore bancario. Al contrario dei livelli del debito pubblico, il livello del debito privato è aumentato nei primi sette anni dell’euro del 27%. L’aumento è stato particolarmente pronunciato in Grecia (217%), Irlanda (101%), Spagna (75,2%), e Portogallo (49%), tutti Paesi che sono stati sottoposti a grandissimo stress durante la recente crisi.
La crescita repentina del debito pubblico, d’altra parte, è iniziata solo dopo la crisi finanziaria. Nel corso di quattro anni, i livelli del debito pubblico sono aumentati di cinque volte in Irlanda e di tre in Spagna”. In altre parole, cosa è successo? Che i cittadini greci – ma non solo i greci – si sono indebitati sempre più, ovviamente invitati da banche e finanziarie che, a fronte della prospettiva di incassare cospicui interessi, non facevano altro che ammiccare loro, concedendo prestiti che venivano utilizzati persino per coprire e onorare finanziamenti accesi precedentemente.
Si è così avviata una spirale perversa che ha portato a una bolla che – udite udite – stava per scoppiare nelle mani del sistema bancario. Ma poiché le banche non si toccano – in Italia lo scandalo Mps docet – la patata bollente dei crediti in sofferenza è toccata agli Stati centrali. E così, per salvare le banche (tedesche e francesi, in primis) sono dovuti intervenire gli Stati europei, socializzando le perdite.
Nel 2009, l’esposizione delle banche di Eurolandia nei confronti della Grecia, oltre 152 miliardi di euro (tra Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Olanda e Spagna) era per lo più un problema degli istituti di credito francesi (78,82 miliardi) e tedeschi (45 miliardi). Ebbene, 5 anni più tardi, nel 2014, come per magia i debiti ellenici sono passati dai portafogli degli istituti di credito a quelli degli Stati sovrani. Il vero colpo di mano, vergato Eurolandia, ha poi fatto sì che la “socializzazione” dei crediti incagliati tedeschi e francesi, diventassero un problema anche e soprattutto per l’Italia, la Spagna e l’Olanda.
Come ha fatto l’Italia, che era rimasta ai margini di questo tsunami finanziario, a diventare lo Stato che ha sostenuto più di tutti le banche francesi e tedesche? E’ presto detto: concedendo prestiti al Fondo salva-Stati, ma non per salvare la Grecia, bensì la Germania e la Francia. In che modo? L’Italia, così come gli altri Paesi di Eurolandia, sono tenuti, in ragione di quote predeterminate, a dare soldi al fondo di salvataggio dell’Unione europea, che, per definizione va in soccorso degli Stati bisognosi. E, nel caso greco, il nostro Paese non ha fatto altro che dare saldi – via Bruxelles – al governo greco, il quale lo ha girato alle banche greche in sofferenza, che così sono riuscite a rimborsare i loro prestiti contratti presso le banche tedesche e francesi. E noi italiani cosa ci abbiamo guadagnato in tutto questo? Assolutamente nulla. Anzi no, un attacco speculativo in piena regola.