Grosseto – Maurizio Pallante e Alessandro Pertosa a Grosseto, il 28 aprile scorso, per parlare ancora di “decrescita” in occasione della presentazione del loro ultimo libro “Solo una decrescita felice (selettiva e governata) può salvarci” ed. Lindau, 2016, To.
Gli autori hanno avuto modo di confrontarsi con il pubblico grossetano e di approfondire le tesi indicate per uscire dalla crisi non solo economica ma anche di valori, che attanaglia la nostra società.
Si avvicina il primo maggio, quali sono le vostre visioni e le prospettive per il lavoro?
M. Pallante – “Distinguiamo il concetto di lavoro dal concetto di occupazione. Quest’ultima indica tutte quelle attività svolte in cambio di un salario che consente di acquistare ciò che serve e non hanno nessuna attinenza sulle soddisfazioni e sui bisogni di chi li compie, mentre il lavoro è un concetto più ampio. Nel nostro sistema economico e produttivo è importante recuperare entrambi gli aspetti. Oggi siamo appiattiti sull’occupazione e non si dà abbastanza importanza al lavoro che non è fatto in cambio di denaro. In relazione all’occupazione, sottoinsieme del lavoro, noi riteniamo che l’unica maniera per ricrearla, nelle società ad economia industriale, è sviluppare tecnologie avanzate, finalizzate non ad aumentare la produttività, ma a ridurre gli sprechi. In questo modo si può soddisfare i bisogni delle persone consumando meno energia, meno materie prime. Così facendo non soltanto si creerebbe occupazione in attività tecnologicamente più evolute, ma si recupererebbero i soldi per pagare gli occupati e risparmiare sugli gli sprechi”.
A. Pertosa – “Aggiungo che la distinzione tra lavoro utile e lavoro inutile si può fare solo se culturalmente si mette in discussione il lavoro tout court e l’ideologia del lavorismo che sta dietro alla nostra società riappropriandoci anche delle parole. “Lavoro” da sempre ha significato, per il mondo occidentale, fatica, patimento. E questo già risalendo al significato con cui veniva espresso dai greci e poi dai latini”.
Di che tipo di lavoro abbiamo allora bisogno?
“Una riflessione seria sul lavoro può esser fatta solo se non lo consideriamo un totem o un tabù. Se il lavoro è il nuovo Dio qualunque tipo di lavoro è buono. Noi pensiamo invece che, se un’azienda di armi si ingrandisce e aumenta i posti di lavoro, non sia una cosa buona. Se un’azienda inquinante offre posti di lavoro non è una cosa buona. Penso all’Ilva di Taranto, ma anche in altri posti si usa porre sullo stesso piano il lavoro con la sanità pubblica. questo è stato possibile perché culturalmente abbiamo divinizzato il lavoro, non considerandolo per ciò che è: la società attuale vive per lavorare, mentre dovremmo utilizzare il lavoro per la vita
Quale è la corrispondenza tra lavoro e globalizzazione?
M. Pallante – La globalizzazione riduce l’occupazione. Infatti se si lavora nell’ottica del mercato mondiale e si inseriscono nell’economia mercificata delle economie che invece erano economie di sussistenza, il costo del lavoro varia. Allora le aziende che competono sul mercato mondiale tendono ad investire nei paesi dove il costo del lavoro è più basso. Ciò comporta una riduzione del lavoro nei paesi dove il costo è più alto. Ne consegue un aumento dell’offerta di merci e una diminuzione della domanda per effetto di salari più bassi, meno tutele sindacali, meno protezione sociale. In sostanza la globalizzazione aumenta il divario tra domanda e offerta e aggrava la crisi.
A. Pertosa – Inoltre la globalizzazione comporta una trasformazione anche dal punto di vista antropologico. Il senso di comunità viene perduto in favore della dismisura mondiale. Ci si sente persi, abbandonati a noi stessi. E quando si è privi di legami familiari o comunitari si finisce abbandonati mani e piedi al mercato e si è costretti a fare un lavoro senza protezioni o solidarismi perché sai di combattere una battaglia da solo a solo. Le trasformazioni antropologiche della globalizzazione sono sotto gli occhi di tutti e gli uomini hanno cominciato a percepirsi come “soli” che devono sgomitare per riuscire a scalare la piramide sociale.
I protagonisti della politica mondiale, vedi Trump o Le Pen, sono comunque stati votati da un elettorato popolare, che cinquanta anni fa avrebbe votato partiti di sinistra. che ne pensate di questi protagonisti?
M. Pallante – Innanzitutto vi è una responsabilità della sinistra che ha accettato in pieno le logiche della globalizzazione. Di conseguenza ha abbandonato a se stesse le persone penalizzate dalla globalizzazione stessa. Dando l’impressione di sostenere solo quelli che dalla globalizzazione ricevono dei vantaggi o promozioni di carattere sociale. Trump appartiene al mondo della globalizzazione e si è fatto difensore di quelli che vengono penalizzati dalla globalizzazione. L’alternativa era la Clinton ugualmente appartenente alla globalizzazione. La Le pen, invece, ha abbandonato la destra estremista così acquistando una connotazione più moderata. l’elettorato di sinistra, sconfitto, potrebbe essere tentato di votare per Le Pen piuttosto che per Macron che si presenta ipocritamente con una veste di sinistra, ma è il chiaro rappresentane del mondo della globalizzazione e quindi di sinistra non è.
A. Pertosa – Aggiungo che Trump è il sintomo e non la cura. Il popolo si scolla da quella che viene definita l’elite e vota ed è disposto a votare chiunque si ponga in alternativa all’elite. Pasolini quaranta anni fa aveva parlato di una trasformazione antropologica in atto. Il proletariato cominciava a sognare il sogno della borghesia e quindi la trasformazione inizia in quel tempo. Il popolo che un tempo votava PCI adesso è disposto a votare Lega o altro perché ha un altro sogno. si butta tra le braccia anche di altri che promettono qualcosa di migliore di questa eurocrazia.
Parole pesanti, chiare e drammatiche, che fanno riflettere e soprattutto invogliano a mettersi in moto per invertire la rotta. L’incontro con i due autori è stato organizzato da Movimento per la Decrescita Felice Grosseto, ARS Maremma, Banca del tempo Grosseto, Civiltà Contadina Grosseto.