Firenze – L’Ente Cassa di Risparmio di Firenze cede il 10,26% di Banca Cr al gruppo Intesa San Paolo (di cui a sua volta detiene il 3, 378%) ottenendo 182,5 milioni di euro dalla cessione. A renderlo noto oggi sono stati il presidente e il direttore generale della fondazione fiorentina, Umberto Tombari e Gabriele Gori, spiegando che investire tale liquidità in forme diverse consentirà all’Ente di avere ogni anno un rendimento fra i 3,5 e i 5 milioni annui per aumentare le erogazioni fino al 20%.
“Siamo probabilmente la prima fondazione ad applicare il protocollo Acri-Mef”, ha sottolineato Tombari, annunciando che per la gestione del proprio patrimonio l’Ente si avvarrà come advisor di Cambridge Associates, vale a dire “il principale advisor internazionale per le fondazioni”. Tombari ha ricordato che l’accordo con Intesa Sanpaolo non è scevro da alcune garanzie, fra cui quella che prevede, per i prossimi tre anni, che rimanga in carica l’attuale Cda della Banca. Inoltre, la direzione regionale rimarrà a Firenze (seconda condizione) mentre i livelli occupazionali rimarranno stabili. Ancora, Intesa si è impegnata a mantenere il brand Banca Cr Firenze per i prossimi 9 anni, e a contribuire direttamente con 2 milioni in un triennio al finanziamento di progetti dell’Ente per il territorio. In attesa dell’autorizzazione del Mef per l’operazione, secondo Tombari il nuovo assetto del patrimonio richiede “un ripensamento del governo della gestione”, ora che questo “diventa più liquido e significativo”, e quindi la scelta di Cambridge Associates è stata operata ritenendo “fondamentale costruire un sistema di gestione del patrimonio in linea con quello che le grandi fondazioni internazionali e le principali fondazioni italiane stanno facendo”.
Ed è lo stesso presidente dell’Ente a spiegare che questo rappresenta “una rottura culturale rispetto a modelli più italiani”, cosicché alla revisione del bilancio affidata a Kpmg seguirà anche un lavoro di “revisione dei modelli organizzativi interni, per essere adeguati agli standard internazionali”, ed essere pronti ad agire come catalizzatori di grandi soggetti no profit su scala mondiale. “Partiremo da una parte del mondo – ha aggiunto – dal mondo nordamericano, che ha simpatia per l’Italia, ed è molto avanzato dal punto di vista del no profit. Stiamo già studiando le fasi di questo avvicinamento”.
L’idea è quella di puntare a realizzare sempre più interventi stabili. Un esempio? Eccolo: come ricorda Tombari, “stiamo lavorando con istituzioni cittadine e non, dal Comune al Ministero, per la ristrutturazione nella sua interezza del quartiere della Santissima Annunziata”.
Intanto su quel 3,378% di Intesa di cui è titolare l’Ente, un “pezzetto” che, secondo Firenze, vale fra il 60% e il 70% del proprio patrimonio, la riflessione non è stata ancora avviata. Il nodo è questo: in ossequio all’accordo Acri-Mef, alle fondazioni è vietato mantenere più di un terzo del proprio patrimonio investito in banche: dunque, il problema si porrà all’Ente CdR proprio riguardo alla sua partecipazione a Intesa. “Abbiamo tre anni di tempo per vedere come dismettere il patrimonio investito” in Intesa Sanpaolo, “qualora vi sia bisogno di farlo come presumibilmente ci sarà, ma su Intesa non abbiamo ancora avviato una riflessione”, ha tagliato corto oggi Umberto Tombari, presidente dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, parlando della questione.
Ad oggi l’Ente detiene 515 milioni di azioni di Intesa, iscritte a bilancio per complessivi 905 milioni di euro. “Oggi a quotazioni di Borsa il valore sarebbe di un miliardo e mezzo abbondante”, ha calcolato il direttore generale Gabriele Gori, ricordando che “l’accordo prevede che l’incidenza del 33% la si calcoli prendendo a riferimento la media del valore del semestre precedente. Il calcolo ogni mese cambia: oggi dovremmo vendere il 60% della quota che abbiamo, ma sono numeri figli di un calcolo che ogni mese siamo obbligati a rifare”.