Crescita vs austerity: con Renzi si può fare

900mila posti di lavoro, fatti balenare davanti agli occhi degli italiani dal ministro Poletti inducono a fare un po’ di conti. E a scoprire che forse la via d’uscita c’è davvero
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti

Mauro Grassi*

Aspettando i dettagli del piano del lavoro di cui parla il Ministro Poletti, intanto si fanno balenare 900 mila nuovi posti (di lavoro). Tanti? Pochi? La solita “boutade” di berlusconiana memoria? E’ probabile di no: facendo un po’ di “giochi con i numeri di Contabilità Nazionale”  si perviene a valutazioni simili.

Iniziamo dal  PIL del 2013, uno degli anni neri di questo decennio, che poi non è altro che il dato emblematico ed  evidente della crisi di cui oggi si parla. Con tassi di disoccupazione oltre il 13% e di disoccupazione giovanile oltre il 40%. Cerchiamo dunque di capire, sempre in termini di indicatori economici, quali sono gli elementi che oggi, nel 2013, non ci consentono di avere un PilBuono vale a dire un Pil che è cresciuto dal 2000 ad oggi ad un tasso di crescita nominale del 3.5% rispetto al PilVero: e cioè  un Pil di 1621,8 miliardi rispetto ad un Pil di 1560,0 miliardi (cioè 61.8 mld in più). In sintesi, non un Pil di piena occupazione ma un Pil, potremmo definirlo, “alla nostra portata” dato il sistema economico, finanziario e istituzionale che ci fa da contesto.

Bene, la propensione media la consumo è l’80% rispetto al 79% dell’intero periodo 2000-2013. Quindi sembrerebbe di poter dire che non c’è, evidente, alcun effetto scoraggiamento, nessun effetto da squilibrata distribuzione del reddito etc. Il consumo è basso perchè la produzione e quindi il reddito è basso.  Non si registra, ex post, alcun abbassamento della propensione media degli italiani a consumare. La propensione media all’import è invece salita al 28% contro il 27% relativo alla media del periodo. Quindi un lieve incremento ma niente di devastante l’economia interna. Per l’effetto  congiunto, e contrastante, delle due propensioni il moltiplicatore medio risulta pressochè stabile.

Ed allora il problema viene a dipendere tutto dalla domanda autonoma. Guardiamo in primo luogo le esportazioni. Gli indicatori che si possono calcolare per avere il polso della situazione con l’estero  sono vari. Io userò qui il peso delle esportazioni sul “PilBuono”. Cioè l’indicatore di come ha funzionato il nostro sistema produttivo nei rapporti con l’esterno rispetto ad un andamento economico, anche interno, più favorevole di quello attuale.  Ebbene il rapporto starebbe intorno al 29,3% contro il 26,7% della media dell’intero periodo. Cioè 2.6% in più: a dimostrazione che il problema della revisione del  cambio fra le monete europee, ed in particolare fra l’Italia e gli altri partner europei che stanno sotto l’euro,  non sembra così importante come si vuol far credere  da parte di certa, sguaiata, propaganda leghista e grillina. Il problema vero quindi viene dall’altra parte della componente autonoma della domanda: e cioè dalla spesa pubblica per servizi collettivi e dalla spesa per investimenti, sia privati che pubblici.

Per avere un PilBuono occorrerebbe una spesa autonoma maggiore di circa  29 miliardi di euro: e cioè un di più di spesa pubblica collettiva corrente di 5.9 mld, di investimenti privati di 20 mld e infine di investimenti pubblici di 3.1 mld. Ammettiamo che sia giusta la politica di avere meno spesa corrente e più spesa investimento. E quindi di dirottare l’intero contributo pubblico sull’investimento.  Occorrerebbe allora  una spesa aggiuntiva di 9 miliardi di investimento pubblico e di 20 mld di investimento privato (si tratta di un livello al di sopra del  7/8% di quello attuale).

Con questo PilBuono  non trascendentale, ma alla portata del paese (3.5 nominale all’anno dal 2000) si sarebbero creati in Italia  circa 1 milione  di posti di lavoro in più. Quindi un terzo di disoccupati in meno. Dal 13% al 7/8%.  E’ evidente che i 9 miliardi di spesa pubblica in più sarebbero più che compensati dalle entrate fiscali in aumento (circa 20/30 miliardi in più) e si dimostrerebbe, “in vitro”, che la crescita ha una proprietà di riequilibrio del Bilancio Pubblico molto più forte di quella relativa ai tagli. E’ altrettanto evidente che una ripresa del 7/8% degli investimenti privati potrebbe essere trascinata, come sosteneva Keynes, solo da un cambio reale di aspettative degli operatori privati. Cosa che potrebbe scaturire da una modifica strutturale del clima politico italiano  ed europeo, senza ambiguità, sul tema della crescita vs quello dell’austerità. E’ una cosa che si può fare. Che si deve fare. Questo è il “vero tema” delle prossime elezioni europee: non l’uscita dell’Italia dall’Euro come palingenesi di tutti gli italici mali.

*Economista, Assessore all’Urbanistica e all’Ambiente nel Comune di Livorno

 

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