Firenze – Non è vero che non ci siano segnali positivi. Ma purtroppo sono così timidi da non risultare decisivi nel constatare che la ripresa c’è ed è ormai assodata. E’ questa, in buna sostanza, la “morale” che si trae da una delle ultime ricerche dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre che riguarda quello che da tutti gli osservatori economici viene considerato il vero tallone d’Achille, il rilevatore per eccellenza della consistenza della ripresa italiana: vale a dire, gli investimenti.
Un primo dato da sottolineare è che nel 2015 una crescita degli investimenti in Italia c’è stata: ma è pari a un +0,8% (dati Cgia). Meglio che niente, dirà qualcuno. Sì, ma è da considerarsi che, tabelle alla mano, “tra il 2007 e il 2015 gli investimenti in Italia sono scesi di ben 109,7 miliardi di euro, pari, in termini percentuali, a una diminuzione di 29,8 punti”, come si legge nella nota dell’associazione mestrina. Riguardo poi al +0,8% del 2015, si tratta di 258,8 miliardi di euro, quasi lo stesso livello di investimenti del 1995, quando gli investimenti si erano concretizzati in 264,3 miliardi di euro. Di fatto, anno scorso, siamo tornati (circa) allo stesso livello di vent’anni fa. E’ vero tuttavia che, secondo quanto si legge nel Def 2016, le cose nel futuro dovranno tornare a migliorare: quest’anno dovremmo registrare una crescita del 2,2 per cento, nel 2017 del 2,5 per cento, nel 2018 del 2,8 per cento e nel 2019 del 2,5 per cento.
Interessante l’analisi per settore. La riduzione più pesante è avvenuta sui “mezzi di trasporto (autoveicoli, automezzi aziendali, bus, treni, aerei, etc.), in flessione del 49,3 per cento (-12,4 miliardi di euro), i fabbricati non residenziali (capannoni, edifici commerciali, opere pubbliche, etc.), con un calo del 43,5 per cento (-44 miliardi). I comparti dei computer/hardware e dell’abitazione hanno invece fatto segnare una variazione negativa del 28,6 per cento (i primi – 1,8 miliardi, il secondo -28,7 )”. Altra caduta pesante si è avuta per il settore degli impianti e dei macchinari, con una variazione negativa del 27,5 per cento (-23,9 miliardi). Solo le telecomunicazioni (+ 10,2 per cento) e le attività riconducibili alla ricerca e sviluppo (+11,7 per cento) non hanno risentito della crisi.
Altro dato significativo emerge dalla considerazione dei settori istituzionali: dall’analisi risulta infatti che a tagliare di più sugli investimenti sono state le imprese, che nel periodo tra il 2007 e il 2015, hanno visti contrarsi gli investimenti in termini reali del 31,5 per cento. A seguire le amministrazioni pubbliche (-28,2 per cento), le famiglie consumatrici (-27,5 per cento) e le società finanziarie (-3,5 per cento). Per quanto rgiuarda la composizione, l’Ufficio studi della CGIA ricorda che “posto pari a 100 il totale degli investimenti nominali presenti in Italia nel 2015, il 60 per cento circa era riconducibile alle imprese e un altro 25 per cento circa alle famiglie”.
Eppure, i segnali della ripresa ci sono. Se si confrontano i dati dei primi 6 mesi del 2016 con quelli dello stesso periodo dell’anno scorso, l’occupazione segna un +1,3 per cento e nei primi 4 mesi di quest’anno il commercio al dettaglio ha registrato un +0,3 per cento. La produzione industriale è salita dell’ 1,5 per cento. Se si considerano i dati riferiti al primo trimestre, invece, si scopre che il fatturato dei servizi è cresciuto dell’1,5 per cento, gli investimenti dell’1,8 per cento, i consumi delle famiglie dell’1,5 per cento e il traffico autostradale dei veicoli pesanti del 4,9 per cento. Incoraggiante apparirebbe anche il trend delle ore di cassa integrazione che nei primi 6 mesi dell’anno è sceso del 6,5 per cento. Deludente invece il fatturato dell’industria (-0,8 per cento nel primi 5 mesi dell’anno), gli ordinativi (-2,5 per cento sempre nei primi 5 mesi del 2016) e l’export (-0,4 per cento nel primo trimestre).
Il punto alla questione lo mettono sia il coordinatore dell’Ufficio Studi della Cgia Paolo Zabeo che il segretario generale Renato Mason.
Paolo Zabeo puntualizza, oltre alla necessità di investimenti per la nostra ripresa “reale”, anche un altro grave problema, quello del credito bancario. “Senza investimenti questo paese non ha futuro – dice Zabeo – ricordo, altresì, che le imprese contribuiscono per oltre il 60 per cento del totale nazionale degli investimenti. Pertanto, ha fatto bene il Governo nei giorni scorsi ha mettere a disposizione 40 miliardi di interventi in infrastrutture, ambiente e turismo e a inserire nell’ultima legge di Stabilità la possibilità per le aziende di ammortizzare al 140 per cento gli acquisti dei nuovi beni strumentali. Tuttavia rimane un problema. Affinché le imprese e i lavoratori autonomi possano sfruttare quest’ultima possibilità, è necessario che le banche ritornino a erogare il credito. Altrimenti, le Pmi quali risorse utilizzeranno per investire visto che tradizionalmente sono sottocapitalizzate e a corto di liquidità ?”.
“Purtroppo – conclude il segretario della CGIA Renato Mason – questi dati rimangono ancora troppo fragili per rilanciare definitivamente la crescita e abbassare in maniera incisiva la disoccupazione. Con un Pil che per l’anno in corso dovrebbe crescere attorno allo 0,6-0,7 per cento, abbiamo bisogno di ritrovare la fiducia degli investitori, introducendo delle misure importanti verso la progressiva riduzione delle tasse e rilanciare i consumi interni e gli investimenti pubblici anche in deficit, per ridare slancio a un Paese che continua a camminare con il freno a mano tirato”.