Banche, aumentano le sofferenze e non s’allenta la stretta creditizia


Secondo i dati rilevati dall’Associazione Banche Italiane, nei primi nove mesi del 2011 si è verificato un aumento esponenziale delle sofferenze bancarie e un conseguente deterioramento del credito. Dal 2009, le sofferenze bancarie lorde sono quasi raddoppiate: a fine ottobre 2011 i crediti incagliati lordi (vale a dire, le situazioni considerate di momentanea difficoltà del debitore) arrivavano a circa 103 miliardi, mentre nello stesso mese del 2009 ammontavano a 56,6 miliardi. Per quanto riguarda la Toscana, a dicembre 2010 le sofferenze bancarie avevano superato la soglia dei 7 miliardi di euro, apprezzandosi di un buon 188% rispetto al dicembre 2007. A fronte della sempre più frequente impossibilità per le imprese di pagare i finanziamenti contratti, non accenna ad allentarsi la stretta creditizia e sia per le imprese che per le famiglie si chiudono i rubinetti del credito. E quanto costa il denaro alle imprese è presto detto: fino al 16%, mentre per le famiglie si sfiora il 21%, a un passo dall’usura.  Eppure, alla vigilia di Natale, le banche italiane hanno preso prestiti dalla Bce per oltre 110 miliardi di euro. Tasso d’interesse: 1%. L’”accordo” era il seguente: gli istituti di credito potevano depositare titoli in cambio di liquidità all’istituto centrale dietro l’impegno di “girare” questo denaro a sostegno dell’economia.

Dunque, il problema è: quanto bisogna attendere per vedere gli effetti di questo sostegno? Il costo del denaro, che per le imprese arriva da una media del 9% fino al 16% e per le famiglie fino al 21%, non è certo un segnale di “sostegno”, o che il “sostegno” sia arrivato. Anzi: apre la strada al più che fondato sospetto che le banche preferiscano “blindare” la liquidità ottenuta mentre, dall’altro lato, chi accetta di pagare tassi così alti spesso non ha alternative. E rischia di aggravare la già critica qualità del credito bancario, aggiungendosi alla lista dei cattivi pagatori. Del resto, i dati dell’Abi fotografano una situazione non più sottovalutabile: il rapporto fra sofferenze nette e impieghi totali (prestiti) a fine ottobre 2011 si attesta al 2,93%, mentre nel 2009 si fermava all’1,92%.

Tuttavia, un dato che potrà influenzare in futuro i risparmiatori è la modifica dell’aliquota di tassazione, introdotta dalla manovra estiva a partire dal 2012, sulle rendite finanziarie. Mentre prima la tassazione si divideva in due aliquote distinte (il 12,5% sulla maggior parte degli investimenti, obbligazioni societarie, titoli di stato, dividendi su azioni, fondi comuni, il 27% per i conti bancari e postali, libretti di risparmio, certificati di deposito, obbligazioni con durata inferiore a 18 mesi), dal 2012 è entrata in vigore l’aliquota unica al 20%, che prevede un’unica eccezione: i titoli di stato, rimasti al 12,5% insieme ai buoni fruttiferi postali.

Cosa comporta questa manovra? Di sicuro, un riposizionamento del risparmio. Di fatto, si “castiga” l’investimento privato diretto di denaro alle aziende e si “premia” il conferimento di denaro privato alle banche. Analizzando chi perde e chi guadagna, si riscontra che la penalizzazione si riverbera sulle obbligazioni, azioni, fondi comuni d’investimento, che vedono punito il loro carattere più speculativo, ma anche sui Pct (pronti contro termine, molto cari alle banche).

Guadagnano invece una forte appetibilità le obbligazioni pubbliche, vale a dire i titoli di stato. Fra questi, è giustificato il ritorno d’interesse dei risparmiatori verso i Bot: a differenza dei Btp che, avendo durata decennale, sono più esposti al rischio di default del debito pubblico, il Bot unisce alla breve durata (un anno al massimo) un rendimento alto (attualmente, ha superato il record storico, da quando c’è l’euro, del 6%), a tassazione invariata: 12,5%.

Avvantaggiati dalla piccola rivoluzione fiscale anche i conti bancari, vale a dire gli investimenti in liquidità..
In particolare, se si esaminano i conti in deposito, che offrono interessi maggiori, e si calcola che l’aliquota prevede 7 punti percentuali in meno di tassazione (dal 27% al 20%), il vantaggio, ragionando sugli interessi, balza agli occhi.
 

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