Firenze – Un sunto, breve, della visita compiuta nel carcere di Sollicciano da Massimo Lensi (Associazione Progetto Firenze), il consigliere comunale Dmitrij Palagi (Spc) e il garante regionale della Toscana Giuseppe Fanfani, accompagnati dal cappellano del carcere fiorentino don Vincenzo Russo, è stato fatto questa mattina nel corso di un incontro con la stampa in palazzo Vecchio. Una breve sintesi che mette sul tavolo tematiche nuove come le misure riguardo la pandemia, e vecchie come lo stato del carcere, le condizioni di chi ci si trova, ma anche l’occasione di una riflessione a tutto tondo che tocchi anche il tema del territorio. Infatti, sebbene l’intervento scioccante e scioccato di qualche giorno fa del garante toscano Fanfani rispetto alle condizioni fisiche e morali dei detenuti nella struttura fiorentina sia una testimonianza di alto valore sulla situazione reale, è sul punto del rapporto col territorio e delle sue realtà che, in particolare secondo don Russo, è necessario riflettere e trovare il modo, il coraggio, la volontà di cambiare indirizzo. Aggiungendo anche, in particolare per Sollicciano e in particolare visti i tempi, la necessità di una stabilità nella direzione (i direttori si susseguono dopo brevi periodi) che sia anche garanzia di riconoscimento degli effettivi rischi che si corrono nell’istituto.
Per quanto riguarda il rischio dell’esplodere di una pandemia che sarebbe difficilmente contenibile, viste le condizioni di sovraffollamento dell’istituto e le condizioni quotidiane in cui vivono i detenuti, ad ora sembrerebbe che la situazione sia tutto sommato positiva. “Nell’istituto fiorentino, le misure di contenimento al contagio sembrano, al momento, adeguate. Tre sezioni sono state organizzate in reparti di isolamento preventivo, con celle singole, per i nuovi giunti. I posti letto sono 41 al maschile e 3 al femminile. Inoltre, è stato creato un reparto Covid con 4 posti letto, all’interno del quale è attualmente ricoverato un positivo” spiega Massimo Lensi, Presidente dell’Associazione Progetto Firenze. Ricordiamo che ad ora i detenuti risptretti a Sollicciano sono 737, a fronte di una capienza regolamentare di 494, fra cui 103 donne. Lensi batte anche su di un punto fondamentale in previsione della salute dei detenuti nella particolare contingenza pandemica: un forte appello circa la necessità di avviare una campagna di vaccinazione antinfluenzale fra la popolazione carceraria. “Lancio un pressante appello alla Regione Toscana affinché inserisca nella categorie a rischio per il vaccino anti influenzale i 3.247 ristretti nei 16 istituti penitenziari regionali”.
“Ad agosto dello scorso anno il Sindaco di Firenze ha proposto di costruire un carcere più grande, abbattendo Sollicciano. Ipotesi che avevamo considerato sbagliata dall’inizio. In Consiglio comunale era stata approvata la nostra richiesta di una seduta dedicata alla detenzione e al sistema penale. Purtroppo poco è avvenuto in questi mesi, nonostante l’impegno del Presidente del Consiglio e di alcuni consiglieri della maggioranza. Quello che devono fare la politica e le istituzioni è diminuire la popolazione carceraria e mettere in discussione un sistema che reprime o rimuove tutto ciò che è povertà, rendendo gli istituti penali delle ‘discariche’”, ha dichiarato il Consigliere comunale di Sinistra Progetto Comune, Dmitrij Palagi.
“La struttura non aiuta qualsiasi tipo di protocollo – dice don Vincenzo Russo – anche se possiamo ripetere che il covid a Solllicciano, ad ora, non solleva preoccupazioni immediate. L’era del covid mette in luce con più urgenza il fatto che la struttura sia vecchia, decadente, fatiscente. Si tratta di un aspetto da non sottovalutare non solo in fase di emergenza ma anche di ordinarietà: per questo chiediamo un intervento del Ministero, un intervento deciso, dal momento che, nonostante la buona volontà di qualsiasi direttore, se non accade che si prendano decisioni forti le cose non cambiano. Qualsiasi tipo di intervento diciamo di “toppa” non porta a nessun risultato, negli anni la struttura peggiora sempre più. Gli interventi diventano sempre più pesanti a livello strutturale e a questo punto il Ministero deve decidere cosa fare di Sollicciano: se continuare su questa strada, che offende le persone che sono all’interno, che hanno diritto a cose diverse rispetto a quelle che sono costrette a vivere, oppure se ripensare alla nascita di un nuovo istituto che abbia le cartteristiche giuste per accompaganare i detenuti in un percorso educativo”.
Ma non è tutto. Il covid, l’emergenza, i rischi emergenti, danno la possibilità di una riflessione doverosa che riguarda il discorso carcere in modalità omnicomprensiva e di fondo. “Bisognerebbe fare una riflessione su quello che c’è fuori, perché dentro ci sono le persone che provengono da questa città – dice don Russo – ed è una riflessione che riguarda i territori. Mi confronto sempre di più con persone estremamente povere. Miglioriamo gli istituti, certo, ma ho grandi perplessità: servono gli istituti? A Firenze ci sono sacche di disagio che aumentano di giorno in giorno, aumentano sempre di più i poveri e i poveri sono sempre più nelle carceri. Non possiamo limitarci a dire che Sollicciano è una struttura inadeguata. Di carcere dobbiamo parlare come di un soggetto dentro la città”.
Ed è proprio l’aumento dei poveri nelle carceri, anche in quella di Sollicciano, che smuove l’analisi. Forse il problema è davvero, come dice don Russo, nel sistema. “Bisogna fare investimenti: cosa si propone a un detenuto in procinto di uscire? La solita vita se non peggio. Una vita ai margini prima, poi l’esperienza del carcere, poi la restituzione, scontata la pena. Restituzione a chi, e in quali condizioni? A quella stessa esistenza di disagio che ha preparato l’entrata in cacere? Dobbiamo intervenire, ma per fare questo in modo efficace serve una riflessione seria sul carcere e il suo ruolo. Il degrado cresce non solo a Firenze, in altri territori è ancora più marcato, penso al meridione e non solo. Introduciamo politiche che rispettano la vita dei cittadini, che rendano difficile il protrarsi del circolo vizioso disagio-carcere-disagio”. Tirando le fila, è anche la città che deve interrogarsi su come intervenire sui bisogni e non rendere diabolicamente facile, se non scontata, la caduta.