Così amò Zarathustra: la “proesia” di Ciro Piccinini

Un viaggio fra poesia e prosa sul filo del mito e dell’ironia dolorosa della vita

Più che una presentazione, un piccolo spettacolo, con un commento musicale suggestivo, affidato al bravissimo Pierluigi Tedeschi, per uno scoppietante ingresso a Firenze di uno dei poeti più originali, colti e tecnicamente ineccepibili del moderno panorama poetico. Si sta parlando di Ciro Piccinini, di Reggio Emilia.

Che, insieme a tante altre cose, musicista, performer, artista è anche e soprattutto poeta. Ieri sabato 18 al Libraccio in via de’Cerretani, a Firenze, a due passi da piazza Duomo, è andata in onda la sua presentazione. Un poderoso libro di poesie dal titolo intrigante, “Così amò Zarathustra”. Riferimento a Nietzsche trasparente e voluto, come ha spiegato l’autore, nello spirito di un libro di poesie che quasi non sono poesie, in particolare nelle ultime cento pagine, ma non solo. Forse, la definizione migliore, almeno di una parte dei testi raccolti nei tre “capitoli” (ma forse sarebbe meglio dire “canti”?) all’interno del libro, è quella dello stesso autore, che spiega questa evoluzione del suo stile ( il libro presentato ieri era il terzo di un percorso già avviato con altre pubblicazioni) con una parola, “proesia”, che mette insieme il contenuto della prosa con la veste della poesia. Un esperimento allettante e godibilissimo, che riporta la poetica e la prosa a quella condizione originaria tenuta insieme dal mito. E di mito, barra archetipo, ce n’è tanto in questo libro.

Ne forma l’ossatura, la struttura, è il fondamento del tempio. Non disdegna ovviamente il parlar comune, il richiamo al detto popolare di una ben precisa cultura, il “nostro” autore, ma lo mette insieme a una cultura enciclopedica, a una temperie rutilante di immagini, guizzi, pennellate che riportano alla mente, mutatis mutandis, certe temperie inquiete che solo il Tintoretto, nel suo magistrale spezzarsi di una luce che suggerisce figure, ha, fra i pittori, la chiave.

Qualcuno potrebbe chiedersi perché tirare in ballo un pittore, per di più del maturo Cinquecento, per un poeta, per di più contemporaneo. Ebbene, basterebbe leggere qualcuna delle poesie di Piccinini per capire che tutto è permesso, nell’ambito libertario della sua proesia. Mischiare vati e dati, amore e morte (matrimonio antico) ma anche ironia e disperazione, risate e depressione. Tutto insieme per formare, sotto la guida di un pugno di ferro tecnico che sbigottisce, una rutilante orgia di pensieri, sensazioni e immagini, suoni visioni e banalità, che lascia suonati e desiderosi di continuare a farsi suonare. E alla fine, chiuso il libro, si comprende di avere assistito a un dramma (drama, azione, come avverte il poeta) universale e sempre presente. Quello di vivere.

Così amò Zarathustra”, Ciro Piccinini, ed. The Dotcompany.

Foto: Il poeta Ciro Piccinini al centro seduto con gli occhiali scuri

È possibile vedere la presentazione al link

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