Tommaso Lombardini*
Berlusconi esce di scena, ma con lui, almeno per un certo periodo – più o meno lungo – non se ne andrà il berlusconismo. Vent’anni nella storia di un popolo possono essere tanti, e Berlusconi li ha trascorsi sempre in testa: in testa al suo partito, in testa al governo, in testa alle attenzioni dei giudici (secondo lui), in testa all’avversione del centrosinistra.
Il bipolarismo muscolare che Berlusconi e Prodi (che, per certi versi, era più arroccato al potere dello stesso Berlusconi) ci lasciano in eredità, ha contribuito a dividere ancora di più un popolo che dagli Orazi ed i Curiazi non perde occasione per rimarcare le proprie differenze, se non addirittura le proprie aperte ostilità. Oggi non esiste più una proposta politica, ma l’appoggio incondizionato ad un leader che, adiuvato da una legge elettorale definita in modo appropriato porcata, sceglie la propria corte personale di onorevoli pigiapulsanti, con buona pace del rispetto del ruolo del parlamento.
L’accanimento nei confronti di Berlusconi è direttamente proporzionale alle aspettative dei moderati liberali italiani che gli hanno rinnovato, per anni e quasi incondizionatamente, la fiducia. Se solo avessimo ascoltato Montanelli, che il cav. lo conosceva bene, probabilmente non sentiremmo così forte un senso di incipiente delusione. E pure, ci sono persone che oggi hanno sui 30 anni che sono cresciute convinte che Montanelli fosse “un comunista”, tanto era il potere mediatico di cui disponeva (e dispone tuttora) il premier. Montanelli un comunista. Una bestemmia anche solo a pensarla, figuriamoci a scriverla.
Doveva essere l’uomo del cambiamento, ma la II Repubblica (ostiniamoci a chiamarla così, ma di II Repubblica si potrà parlare solo quando si cambierà la Costituzione…) è finita – sta finendo – esattamente come la prima: consultazioni, governo di salvezza nazionale (o di larghe intese, chiamatelo come volete, la sostanza è la stessa), dichiarazioni di assunzioni di responsabilità, impegni impellenti da mantenere etc.
Che ci lascia, in definitiva, Berlusconi? Certamente un’Italia ancora più divisa, ma un’Italia che forse ha smesso di credere alle favole e ha aperto gli occhi.
Un’Italia in cui i moderati ed i liberali sono ancora senza una casa, persi – dispersi – fra un centrodestra in perenne ricerca di un’identità politica stabile scollegata dal leader carismatico ed un centrosinistra che ripete, con preoccupante frequenza, i soliti errori: anziché cercare di trasformare il PD in un partito della socialdemocrazia europea, ecco di nuovo l’alleanza con Sel, Idv e così via. Farà vincere le elezioni (forse), ma dov’è il cambiamento?
Così, il ceto medio italiano, liberale, borghese, moderato, autentica spina dorsale del nostro paese, si guarda in giro confuso, con il rimpianto di quello che è sarebbe potuto essere e che non è mai stato, e con il timore per quel che sarà. Velinismo ed impreparazione hanno preso il posto di meritocrazia e disciplina, in un decadimento morale certamente non irreversibile, ma che offre uno spaccato sconsolante della nostra realtà.
Il 30% dei giovani non ha lavoro o non studia, e nessuno comprende come il problema di oggi, drammatico, diventerà devastante in futuro, se non si trova una soluzione in termini ragionevoli. Le tasse non sono diminuite, per risollevarci si dovrà probabilmente reintrodurre l’Ici, i prezzi al consumo sono aumentati ma il potere d’acquisto no, per tacere dell’inadeguatezza di molti servizi pubblici. Certo, non è tutta colpa di Berlusconi, ma da chi si è (auto)definito il miglior presidente del consiglio della storia italiana, ci si aspettava molto di più.
*Presidente provinciale Futuro e Libertà