Vincere la guerra può essere facile. Il difficile è vincere la “pace”. I recenti congressi locali del Pd dovrebbero averlo chiarito a Matteo Renzi meglio di un trattato di scienza della politica. Le correnti sono vive, lottano insieme a noi ma soprattutto una contro l’altra. E lì, nel mitico corpo del partito, Renzi non possiede la maggioranza. Non quella assoluta, almeno.
Anche se l’8 dicembre riuscisse a prendere in mano la segreteria del Pd – come appare scontato – e più avanti la candidatura a premier – il che al momento sembra molto meno facile – Renzi giocherà la sua vera partita nella riorganizzazione di un corpo politico tanto disorientato quanto abile nel fare interdizione: all’interno del partito, cioè a se stesso.
A Roma l’annunciata rottamazione potrebbe coprire le spalle al sindaco di Firenze – come e quanto dipenderà dal risultato delle primarie – sterilizzando la capacità di interferenza di una dirigenza storica che è e resterà ostile alla sua leadership. Ma nelle regioni, nelle province e nei comuni, per rossi che siano, sarà un altro paio di maniche. Anche perché Renzi avrà bisogno del partito, della sua miriade di sezioni e volontari oltre che della loro ancora notevole capacità di mobilitazione.
Infatti, una volta atterrati sul mitico territorio non si può fare a meno di ciò che a Roma e nelle trasmissioni tv nazionali può apparire come una palla al piede. E sarà qui che Renzi rischierà di dover scegliere: o un partito rinnovato nella facciata ma identico nella sostanza e nei vizi, o un rinnovamento completo e doloroso, che lascerà il campo alla sua leadership carismatica priva di radicamento territoriale. Magari con una minoranza interna ancora in grado di mettere i bastoni tra le ruote o, peggio, dovendo sopportare l’ennesima scissione a sinistra.
I congressi emiliani, a questo proposito, sono stati significativi. Nonostante le tante e autorevoli conversioni sulla via di Firenze, vari candidati renziani dati per vincitori sicuri sono rimasti al palo: in primo luogo a Reggio, ma anche Modena e Parma sono casi esemplari.
La vera partita resta insomma quella delle correnti. Non è sufficiente criticarle per farle scomparire, né far finta che basti diventare segretario o premier per non averle più attaccate ai piedi. Il rischio è buttarle fuori dalla porta per vederle rientrare dalla finestra.