L’omaggio pasoliniano di Mauro Montalbetti (musiche) e Marco Baliani (libretto e regia) in CORPI ERETICI messo in scena in prima nazionale venerdì 30 ottobre alla Cavallerizza di Reggio Emilia è qualcosa che si innesta, con riuscita facilità, nel solco della tradizione operistica nazionale.
Un’Opera che ha la bellezza – certo apprezzata dagli amanti del genere – di far rivivere il senso e l’emozione del canto a teatro, e insieme la capacità di rimanere fedele all’immaginario letterario, cinematografico e umano dell’artista eretico, scomparso il 2 novembre del 1975.
Le musiche di Montalbetti, equilibrate, di enorme suggestione, puntuali e precise nel mimare scene e stati d’animo, capaci di cogliere dello spirito pasoliniano lo slancio popolaresco e la profonda adamantina logica intellettuale sono splendidamente eseguite sia dalla sparuta orchestra (pochi elementi, direttamente in scena) sia dai cantanti Cristina Zavalloni, soprano, particolarmente plaudita dal pubblico, e Mirko Guadagnini, riuscitissimi in una partitura complessa quanto d’effetto.
Giustamente equilibrata anche la componente del coro dei “Ragazzi di vita” come anche gli interventi in prosa dell’alter ego del protagonista -come sdoppiato in scena tra canto e recitazione – che scandiscono la dualità personale e poetica che anche la musica costruisce.
Quelli di CORPI ERETICI sono novanta minuti densi di poesia, grazie all’interpretazione di Marco Baliani che da esperto conoscitore delle scene e del peso della parola sa costruire, gestire e dosare un’opera che perfettamente misura gli elementi spettacolari: la musica, la poesia, la recitazione, la danza, l’azione scenica. Il risultato è una sorta di compendio del pensiero pasoliniano, del suo immaginario visivo, della sua sensibilità, della sua capacità profetica, elementi che oggi più ancora che negli anni Settanta colpiscono il lettore.
Senza deliberata provocazione, premendo l’acceleratore sull’estro lirico senza tuttavia censurare gli elementi torbidi e disturbanti del pensiero pasoliniano, l’opera si snoda cresce con facilità, culminando in un lungo duetto a voci sole tra il tenore e la madre.
Sole le voci, sole le esistenze nella propria lotta, soli tutti di fronte alla morte.
“Madre, mi hanno calpestato il cuore,
tu sai quanto era ancora colmo di parole
ora che a terra son sparse le mie membra
ora che la bocca è tappata da un pugno di sabbia
posso dirti, madre, quanto terribile è stato vivere
la vita che con abbondanza m’hai donato.”