Coronavirus, i numeri del contagio in Italia secondo Istat e Ministero della Salute. L’indagine epidemiologica di sieroprevalenza (un campione di oltre 64.600 prelievi) rivela che il 2,5% della popolazione è risultata positiva al test degli anticorpi. Mortalità del 2,5%, in linea con l’esperienza internazionale. Locatelli: “Confermata l’importanza delle misure di protezione individuale, perché anche chi non si ammala può contribuire in modo rilevante alla diffusione del Sars”. Il ministro Speranza: “Il momento più difficile è alle spalle, siamo fuori dalla tempesta ma non in un porto sicuro. Usiamo cautela”. Tutti i numeri
Sono quasi un milione e mezzo gli italiani contagiati dal coronavirus. Sei volte di più rispetto a quelli cui l’infezione è stata diagnosticata da febbraio a giugno e che quindi risultano sui bollettini della Protezione Civile. Il 2,5% della popolazione secondo il tanto atteso studio di sieroprevalenza che serve appunto a comprendere quanto il Sars-CoV-2 abbia circolato, in che modo si è espresso e in che misura da luogo a forme asintomatiche. L’indagine è stata condotta da Istat e Ministero della Salute, col supporto logistico fondamentale della Croce Rossa che ha reclutato il campione di volontari non senza difficoltà. Dopo migliaia e migliaia di telefonate si è riusciti a reclutare il campione statistico e a venirne a capo con risultati solidi. Diversi cittadini avevano infatti declinato l’invito ad aderire al progetto, negando il consenso. Oltre 64.600 i prelievi. Il 2,5% della popolazione è risultata positiva al test degli anticorpi e dunque è venuta a contatto con l’agente infettivo responsabile della pandemia.
Lombardia in testa
Il virus ha conquistato l’Italia con una forte differenziazione territoriale. In Lombardia la prevalenza è stata del 7,5% contro lo 0,3% della Sicilia. È la conferma che l’istituzione delle zone rosse alle Regioni del Nord e poi il lock down nazionale hanno stroncato la catena di trasmissione. I contagiati sembrano una percentuale irrisoria. Invece il dato «può trasformarsi in qualcosa di problematico se non siamo prudenti», analizza il presidente Istat Gian Carlo Blangiardi, al fianco del ministro della Salute Roberto Speranza nel presentare l’indagine. «La percentuale del 2,5% ci dice che è stato un fenomeno significativo che ha interessato circa un milione e mezzo di persone. Il momento più difficile è alle spalle, siamo fuori dalla tempesta ma non in un porto sicuro. Usiamo cautela», ricorre al paragone marinaro Speranza. La raccomandazione, spesso inascoltata, è di indossare mascherina, lavarsi spesso le mani e distanziarsi.
Bergamo e Cremona
La variazione territoriale è la chiave di lettura. I lombardi rappresentano il 51% dei cittadini italiani con anticorpi. Sembra che il Sars-CoV-2 abbia colpito in maniera selettiva, scegliendo: a Bergamo la sieroprevalenza è del 24% contro il 19% della vicina Cremona, uniche due province a mostrare la doppia cifra. I cittadini di Como e Lecco sono rimasti invece relativamente ai margini: qui la sieroprevalenza è del 3% eppure siamo sempre nella Regione più tartassata. Contagiati il 19% dei cremonesi contro il 5,1% dei pavesi. «Segno che la diffusione dell’epidemia ha interessato ristrette comunità», commenta il primato negativo della sua città Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità e componente del comitato tecnico scientifico di supporto al governo per l’emergenza coronavirus.
Lo studio spagnolo
«Non ci aspettavamo valori diversi, ci siamo allineati alle osservazioni di altri Paesi», dice Locatelli citando un lavoro spagnolo pubblicato sulla rivista Lancet all’inizio di luglio. Le informazioni raccolte sul piano pratico servono a riflettere sulle modalità di circolazione di questo nuovo nemico infettivo e a seguire nel tempo «la persistenza degli anticorpi» se cioè chi li ha sviluppati li mantiene l’immunità e quanto a lungo. «Essere positivi agli anticorpi non equivale a possedere il patentino di immunità», chiarisce Locatelli.
Bambini risparmiati
Non si sono viste differenze profonde tra classi d’età, ma la prevalenza è più bassa nei bambini tra 0 e 5 anni (1,3%) e in quelli dagli 85 in su (1,8%) probabilmente perché i piccoli sono meno esposti perché non hanno ancora sviluppato i recettori ACE 2 utilizzato dal virus per entrare nella cellula umana. Gli anziani probabilmente si sono protetti di più (con mascherine e non uscendo di casa) rendendosi conto di essere una categoria molto fragile, spaventati dai tanti morti. Rispetto alla popolazione generale gli operatori sanitari sono stati doppiamente contagiati: il 5% sono risultati positivi al test sierologico (in Spagna il 10%).
Letalità
E c’è un’altra informazione importante. Il tasso di letalità, cioè il rapporto tra numero di morti e numero di soggetti entrati in contatto con il virus: è del 2,5% in linea con l’esperienza internazionale, sei volte più basso del 14% calcolato in base al numero dei positivi diagnosticati col tampone, ricoverati o finiti in isolamento. Infine è arrivato il dato certo sugli asintomatici che restano una delle incognite di questa epidemia in quanto non è certo quanto e in quali circostanze siano infettivi: gli italiani positivi agli anticorpi che hanno preso il virus senza sviluppare i sintomi sono il 27,3%, come in Spagna. «Questo conferma l’importanza delle misure di protezione individuale, anche chi non si ammala può contribuire in modo rilevante alla diffusione del Sars», conferma Locatelli. Tra gli altri sieropositivi, il 24,7% hanno riferito di aver avuto mal di testa, febbre o tosse, mentre il 41,5% oltre a febbre, hanno elencato dolori muscolari e perdita di olfatto e gusto.