Firenze – Coronavirus o tsunami, forse per il mondo del lavoro è questa seconda definizione quella più adeguata. Perché i lavoratori stanno diventando l’anello più debole su cui rischia di consumarsi una tragedia che è a un tempo economica e sanitaria. Ma nonostante tutto, persino fra i più sofferenti della categoria ci sono situazioni di privilegio più o meno accentuate. Privilegio fra virgolette, naturalmente, perché alla fine si tratta di sfumature.
I casi critici stanno aumentando: si passa dalla preoccupazioni dei lavoratori degli appalti, in particolare delle cooperative sociali, a quelle dei dipendenti del privato tout court. A dire la verità, da rumors che fuoriescono dagli uffici amministrativi di tutta Italia, neppure per i dipendenti pubblici le cose vanno troppo bene; ma in ogni caso, sia questi lavoratori che quelli assunti con contratti stabili, oltre ai paracaduti che, sebbene sempre meno sicuri tuttavia sussistono, godono di un importante punto che a questi tempi può fare la differenza: ossia la visibilità. Proteste, iniziative e qualsiasi tentativo di contrapporsi al datore di lavoro su temi importanti come pagamento delle ore anche se (forzatamente) non lavorate, stop per ferie imposte, contributi e quant’altro, almeno hanno la possibilità di essere messi sotto i riflettori dell’opinione pubblica. Ma non è per tutti così.
Cominciamo dai casi, tutti fiorentini. C’è quello di Pietro, disoccupato, con contratto quasi concluso per un lavoro di cameriere in un ristorante, che ovviamente dall’inizio del coronavirus non ha più visto niente: nè proprietario, nè contratto. “Dopo aver aspettato per mesi questo lavoro ….” commenta. E magari averci pure contato per mettersi in pari, con le bollette ad esempio. O per allargare il parco alimentare, magari uscendo dal confine di pasta e pane. “Dieta mediterranea forzata”, scherza. O quello di Angela, che, in ferie per ragioni di salute, viene convocata dal ristoratore per firmare, insieme ai colleghi, un contratto che modifica l’orario, a 20 ore settimanali. O ancora, Raul, contratto a chiamata…. mai più chiamato. O Andrea e Livia, entrambi contratto a tempo determinato, con speranze di rinnovo. Non ora, però.
“Il vero problema – commentano dai Cobas – è che queste segnalazioni stanno diventando sempre più importanti e ragionevolemnte saranno sempre in crescita. Anche se il vero snodo su cui si gioca buona parte dell’economia italiana sono gli invisibili, vale a dire quei lavoratori che se ne stanno nascosti nelle pieghe dei piccoli esercizi, delle microimprese, spesso senza contratto o con contratti non riconducibili nemmeno lontanamente a quelli nazionali, magari assunti per una qualifica e attivi per un’altra, timorosi, in quanto pochi e misconosciuti, di attivare denunce in quanto deboli e ricattabili”. Insomma tutto un indotto di invisibili che da questa nuova e a tempo indeterminato stangata dell’economia italiana usciranno non solo con le ossa rotte, ma ancora più deboli e ricattabili di prima.
Incalza l’Usb: “Tutto il finto lavoro stabile, vale a dire smart working, lavoro a chiamata, lavoro a tempo determinato con monte ore variabili, fino ad arrivare al lavoro nero sempre negato e molto usato (e in questo frangente se ne verificherà purtroppo la pregnanza nel crollo totale di molti redditi famigliari), comprendendo ovviamente anche partite Iva e lavoratori autonomi, sta andando incontro a forzature che ne rivelano le fragilità e che porteranno a gravi conseguenze sul reddito medio delle famiglie. Tutto è collegato. Nel caso della decisione di chiudere tutto, sarà un costo che si abbatterà sull’intera collettività. Per questo riteniamo che si dovrebbe prevedere l’accesso al reddito di cittadinanza per tutte le categorie che non possono accedere a una cassintegrazione”.
Sulla questione intervengono anche Maurizio Brotini e Giacinto Botti della Cgil, che pongono l’accento sul cambiamento necessario del “modello di sviluppo economico e sociale, preparando e costruendo modelli alternativi, indicando strumenti che orientino la futura ripresa nella direzione della salvaguardia del pianeta, garantiscano il primario diritto della salute e della vita delle persone al lavoro e al benessere sociale della collettività, non del mercato e dei profitti”. E dunque, ad ora, servono misure importanti che “devono andare di pari passo con il blocco degli sfratti e dei licenziamenti, l’immediata soluzione dell’annoso problema del sovraffollamento delle carceri, la garanzia di sicurezza e continuità di reddito a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori indipendentemente dalla tipologia contrattuale, dipendente o autonoma, ma economicamente dipendente”.
Intanto, almeno per Firenze (ma non solo) un altro rischio avanza. In una città come la nostra infatti, votata anima e corpo per scelte oggettive, economiche e di indirizzo politico, al turismo nelle due accezioni opposte di turismo di massa e turismo del lusso, l’impatto della crisi scatenata dal coronavirus avrà (e comincia da avere) effetti devastanti. E anche in questo caso è il lavoro, quello più fragile, ad andarci di mezzo, oltre al sistema dell’accoglienza alberghiera in particolare. Ma nel panorama critico, il mercato degli investimenti alberghieri (quelli dei grandi fondi immobiliari, che ha visto proprio ieri un grande “colpo” da parte della società di Taiwan, la Lcd di Nelson Chang, che ha acquistato per 24 milioni il prestigioso Palazzo Serristori con giardino, per costruirvi undici prestigiose residenze di lusso, gode di ottima salute) non sembra affatto intaccato dall’andamento generale. Del resto, come spiega un articolo del quotidiano on line T.P.I. it che ha interpellato Michele Maria Coscioni, consulente esperto nel mercato alberghiero, tale mercato riguarda per la maggior parte transazioni con un orizzonte temporale per l’apertura delle strutture di circa uno-due anni, dovuto in larga parte a ristrutturazioni e conversioni. Un mercato dunque che, proprio grazie alla crisi, potrebbe essere ancora più appetibile per i grandi fondi internazionali, che potrebbero spuntare ottimi affari su strutture che, magari già indebolite dalle svariate difficoltà del mercato, potrebbero non essere in grado di superare quest’ultima, criticissima contingenza. Insomma a livello di business legato al proprio patrimonio immobiliare, in particolare per l’accoglienza, Firenze, se non fa gola ora, tornerà a far gola. E in molti lo sanno.