
A un vecchio amore si perdona tutto, o quasi, è solo questione di tempo. Così ci siamo ricascati. Mai più “Twin Peaks – Il Ritorno” avevamo giurato qui al Bar De Curtis dopo le prime nove settimanenigmistiche puntate. Ma David Lynch è un vecchio amore, volevamo perdonarlo, e pur sapendo che ci saremmo fatti del male, non abbiamo resistito alla tentazione di guardare le ultime due puntate della serie, precedute da un trionfo di critica e fan adoranti.
Innanzitutto: Lynch è il Maestro dell’Onirico…solo quando pare a lui, e in apertura di penultima puntata piazza un bel riassunto (ma riassunto de che?) affidato al personaggio che lui stesso interpreta sullo schermo, un agente FBI, per essere sicuro di non aver esagerato col linguaggio meta-psico-filo-gastro-cine-multisalico. Che l’agente Cooper si fosse sdoppiato l’avevamo capito, che il maligno fosse ancora in circolazione pure.
Però: come rimanere seri di fronte ad effetti speciali dozzinali e scene come quella in cui un ragazzino (non chiedeteci chi sia, nelle prime nove puntate non c’era) con una mano verde superforzuta prende a cazzotti la sfera del male che contiene il facciotto di Bob, il satanaccio? Non c’era qualcosa di più onirico? Scena cult o Corazzata di fantozziana memoria?
Però però: onestà intellettuale vuole che si parli anche delle cose interessanti. E allora bene, anzi benissimo, il fatto che Lynch riproponga – sempre nella penultima puntata – una Laura Palmer ancora in vita ma ormai prossima al martirio.
Però però però: che dire dei primi trenta estenuanti minuti dell’ultima puntata, giocati su silenzio, buio e lentezza per spianare la strada al pirotecnico finale? Pirotecnico? Ricompare (forse) Laura Palmer 25 anni dopo, poi? Poi niente, abbiamo scherzato.
In che anno siamo?” si domanda Cooper prima dei titoli di coda.
Finisce così, tra universi paralleli e strappi temporali. Virtuosismo artistico, scorciatoia narrativa o Corazzata?
Che Lynch non abbia intenzione di farsi capire dal volgo, al quale noi orgogliosamente apparteniamo, è acclarato. Non sempre (vedi filmografia che comprende pure film “normali”), ma è acclarato. Problema nostro, in fondo, che affascinati ancora cerchiamo di inquadrarlo, sbagliando.
Ma il punto è che questo nuovo “Twin Peaks” non ha motivo di esistere. Piaccia o meno, il primo Twin Peaks era sì pieno di personaggi e situazioni strambe e pruriginose, ma aveva qualcosa da dire, segreti da svelare, assassini da indovinare. Era un thriller, per quanto piacevolmente “malato”. Si perdeva nei meandri di storie collaterali spesso fastidiose, ma l’impianto era quello di un thriller bello e buono.
Ora, a meno che le puntate della nuova serie, dalla numero dieci alla numero sedici, siano state un’orgia di rivelazioni e colpi di scena – nel qual caso saremmo pronti non a rivedercele (non ce la sentiamo), ma almeno a farcele raccontare -, il regalo David Lynch non l’ha certo fatto ai fan, 25 anni dopo, ma a se stesso, visto che nulla ha aggiunto a ciò che già si sapeva e nemmeno ha introdotto elementi sconvolgenti, viaggiando su un binario parallelo. Insomma, non chiedeteci di gridare al capolavoro. Era stato costretto dalla produzione a essere fin troppo tradizionale 25 anni fa, narra la leggenda. E allora viva la vecchia produzione.
Il nostro punto di riferimento in tema di critici cinematografici, il mitico Johnny Palomba, più o meno chiuderebbe il caso a questa maniera (ci perdoni lo slang romanesco malamente contraffatto): “Chenfatti ce sta sto paesino pieno de arberi che pare popo un posto sperduto tipo in Abruzzo indove accadono n’zacco de cose strane con nani ballerine giganti gente che parla ar contrario e gente morta che forse nun è morta perché forse nun è mai successo niente e semo noi a esse rincojoniti perché meno se capisce più è n’capolavoro chenfatti è tutto chiarissimo ne la testa der Maestro Lince pure se è n’quarto de secolo che se sa chi ha ucciso Laura Palmer e allora poi ce dovrebbero spiega’ che l’hanno fatta a fa’ ‘sta nuova serie”.