Raramente, per non dire mai, il contrabbasso è stato protagonista in un concerto sinfonico. E’ accaduto a Prato, con la Camerata Strumentale: appuntamento che data 27 febbraio, ore 21. E’ stato così il momento di uno strumento appartato, all’apparenza goffo, vitalizzato dal genere Jazz del secolo scorso, che ne ha reso agile l' abbondante silhouette. Protagonista, assieme alla premiere dame, il virtuoso Alberto Bocini da Prato. Solista e primo contrabbasso di numerose orchestre internazionali, Bocini è stato applaudito quasi fin all’ovazione nel teatro amico, alla conclusione della parte centrale della serata che, com’ è consuetudine, in appendice apre ai bis da regalare al pubblico.
Il Divertimento concertante per contrabbasso e orchestra, ha permesso di apprezzare la musica di Rota, eclettico protagonista del novecento, per le colonne sonore di parecchi films che hanno reso celebri le opere di Fellini, Visconti, Monicelli e tanti altri. Qui lo strumento ha trovato il proscenio e l’attenzione della sala, dove il carattere brillante alternato ad arie melodiche dei tempi indicati, ha posto fine all’ingiusto pregiudizio. L’orchestra sospinta dalla bacchetta di Jonathan Webb ha sostenuto l’opera di Rota, complessa e poetica, là dove il maestro tributava a Prokof’ev ricordi che rimandavano a “Pierino e il lupo”.
E’ dunque l’espressione ironica e virtuosa per mano di Bocini che fa partecipe il pubblico e ne attrae l’interesse. Alle novità, in un certo senso, ci si prepara prima. L’inizio della serata è perciò dedicata al compositore boemo in voga sotto Teresa d’Austria, quando le armate pugnavano contro Napoleone. Jan Vaclav Vorisek, viennese d’adozione amico di Shubert e Beethoven, visse a cavallo dei due secoli, attraversandoli brevemente, lasciando l’opera di musicista acerba e piena di promesse. La sua unica Sinfonia, proposta ed in programma, fu postuma, pubblicata addirittura nel 1957. I modelli di Vorisek non potevano prescindere dai grandi di cui Vienna si fregiava. La Sinfonia in re maggiore lo ha dimostrato nell’interpretazione della Camerata. Vivace, dolente nei violoncelli, trova riferimenti nell’epoca di giganti della musica, ma ancora espressione di un talento prematuro che avrebbe trovato, se il tempo gli fosse stato amico, fecondità espressiva. Sia giusto il tributo quindi, a Hugo Jan Vaclav nato a Vamberk nel 1791, poco prima della morte di Mozart.
Si chiude con Beethoven e la Quarta Sinfonia in si bemolle maggiore op. 60 . Per tutta la vita, il compositore ha riposto nella musica l’ideale sacralità come elevazione dell’anima viatico di tutto ciò che è nobile per il bene dell’umanità. E’ il flauto, luminoso del primo movimento accompagnato dall’oboe ed il clarinetto che apre all’orchestra per mano di Webb, il senso sinfonico di questa meravigliosa “ Quarta” sostenuta dai timpani. Il clarinetto, delicatissimo, accompagnato dal pizzicato degli archi tratteggia il suo incedere, nel secondo Adagio. E’ l’elevazione che porterà alla “Settima”, composta tra l’autunno del 1811 e il giugno dell’anno successivo. Segue un efficace Allegro vivace, sottolineato dal corno in chiusura del Tempo. Guizzante disinvolto il finale dell’Allegro non troppo, che è risuonato infinite volte nelle sale di tutto il mondo, ha salutato il pubblico tributante d’applausi, come disinvolta l’uscita dalla sala al commiato della Strumentale.
Disegno di Enrico Martelloni, per gentile concessione dell'autore a Stamp