Firenze – Passano i giorni e l’impatto del caro-bollette sui bilanci delle imprese fiorentine del terziario si fa sempre più devastante. A raccogliere i dati tra i suoi associati è la Confcommercio Toscana: “Il Grand Hotel Baglioni di Firenze, a dicembre 2020 pagava 13,850 euro a Kwh, che sono diventati 32,7 a dicembre 2021, quasi due volte e mezzo. Sempre a Firenze, l’hotel San Giorgio a dicembre 2019 spendeva per le forniture energetiche 4.500 euro, a dicembre 2021 si è ritrovato a pagarne 10.985: più del doppio, a fronte di consumi minori visto che anche l’attività, purtroppo, nel frattempo è diminuita. Per qualcuno i costi dell’energia sono addirittura più che triplicati: è il caso, sempre a Firenze, della trattoria La Madia. L’importo della prima bolletta del 2022, da saldare entro l’11 febbraio, è di 3.175 euro quando esattamente un anno fa ne pagava 1.021. Qui, o si mantengono posti di lavoro o si paga la luce – dice il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni, che racconta – ogni giorno ricevo da associati di tutta la regione, decine e decine di messaggi in cui lamentano situazioni analoghe”.
“Il tutto – commenta Marinoni – avviene nel disinteresse più completo, o quasi, da parte dello Stato, che non ha trovato il modo di spiegare davvero le motivazioni che si celano dietro questi rialzi spropositati, né tantomeno di individuare una soluzione. La questione va risolta in maniera strutturale, per esempio investendo i soldi del Pnnr per rendere il nostro Paese indipendente dalle forniture estere di energia”.
“Gli aumenti aggiungono sale alle ferite in un terziario già allo stremo, costretto da due anni a barcamenarsi fra incassi in discesa costante e costi che invece continuano a salire”, prosegue Marinoni. “Sì, ci sono i ristori, ma si tratta per lo più di cifre esigue, che adesso non bastano più neppure a ripianare l’aumento di gas ed energia. Sarebbe meglio che, al posto di ristori inconsistenti, si cancellassero gli aumenti di tariffe e bollette di questi giorni!! Di questo passo invece, senza aiuti sufficienti, senza cassa integrazione, senza ricavi, in migliaia saranno costrette alla chiusura. Come è possibile che lo Stato assista impotente a questo sfacelo?”.
In gioco non c’è solo il futuro delle imprese. “Cancellando dalle nostre città negozi, ristoranti, bar, strutture ricettive e tante altre aziende che ora ci garantiscono servizi importanti – ribadisce Marinoni – si mette in discussione un intero sistema di accoglienza che tutto il mondo ci invidia e un modello di vita e di consumo consolidati e frutto eccellente dell’italianità. Le ripercussioni saranno pesanti anche per l’immagine dell’Italia, non solo per la sua economia. Ogni saracinesca abbassata, ogni dipendente licenziato sono una sconfitta per tutti. Ma nei palazzi romani questo tema non pare interessare, è evidente: ora c’è da discutere sugli accordi per l’elezione del Presidente della Repubblica, Berlusconi sì o Berlusconi no, domani chissà. Le imprese, spina dorsale del nostro Paese, non sono mai una priorità. Al limite, si pensa di tenerle buone con una mancetta”.
Ma gli ostacoli per le imprese del terziario non sono finiti qui. Confcommercio evidenza anche la complessa trafila burocratica legata alla gestione dei casi di Covid. “Non bastavano gli effetti devastanti del rialzo dei contagi, che tra quarantene, positivi, smart working e Dad ha fatto sparire la gente dalle strade, azzerando o quasi i clienti potenziali di locali e negozi. Ora ci si mette anche la burocrazia da Covid, che allunga a dismisura i tempi delle guarigioni”, dice esasperato il presidente di Confcommercio Toscana Aldo Cursano.
“Sarebbe bene che lo Stato prendesse una volta per tutte la decisione di rendere obbligatorio il vaccino. Ora per tutelare chi non lo vuole fare siamo obbligati all’assurdo: persone con la terza dose che si ammalano e, nonostante la totale assenza di sintomi, devono restare a casa fino a venti giorni e più. Non parlo solo di dipendenti – la cui assenza rende faticosa la turnazione per chi resta – ma anche di imprenditori che mandano avanti da soli l’attività. Se mancano, il negozio resta chiuso, giorni e giorni senza incasso e con i costi che continuano a girare. E loro costretti a stare fermi quando prima dell’epoca Covid sarebbero andati al lavoro anche con la febbre alta. Perché per qualcuno ammalarsi è un lusso”.
Urgente, per la Confcommercio, è anche ripensare l’organizzazione e la sicurezza delle aree di lavoro – negozi e locali ma anche luoghi della produzione – nel dopo Covid. “Chiediamo un credito d’imposta consistente e aiuti per chi, ad esempio, acquista attrezzature per il ricambio dell’aria”, fa sapere il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni. “Le imprese devono pensare ora ad adeguarsi ai nuovi stili di vita post pandemici. Eppure, al Governo nessuno pare pronto a pensarci programmando una strategia efficace per governare il cambiamento. A meno che qualcuno conti sul fatto che nel post pandemia non ci siano più imprese…”.