Conclave, un thriller onesto e rigoroso con un finale spiazzante

Il film del 2024 è tratto dal libro dello scrittore inglese Robert Harris

Per non ricadere, a proposito di film su affari di Chiesa e dintorni,  negli soliti  abusati fumosi generoni detective-pseudo-thriller alla Dan Brown travestiti da pseudo-citazioni leonardesche o dantesche,  diretti dal solito Ron Howard, con un interdetto e malcapitato Tom Hanks, del tutto fuori ruolo-  o nel rievocare i foschi e non improbabili scenari del Padrino Parte III , dove il papa eletto muore dopo un mese tra finanzieri criminali avvelenati o impiccati  e collusioni mafiose con cardinali dello IOR  ( e questi sono tutti  fatti storici,  potentemente presenti) –  bisogna riconoscere che per l’industria cinematografica è divenuta ormai impresa sempre più ardua fornire  una decente dignitosa versione di quello che succede in Vaticano alla morte di un Papa. Forse anche perché non è significativo come un cinquantennio fa.

Dieci anni fa Nanni Moretti in Habemus Papam aveva con grande onestà intellettuale e senso del limite,  affrontato il problema dal punto di vista di un papa che  arriva al gran rifiuto, non appena eletto. Ma Moretti che aveva incarnato trent’anni prima nel suo La messa è finita, il  prete sessantottino e idealista che alla fine  fuggiva da Roma sconfitto, per andare a farsi impazzire la testa dal vento polare in una missione in Patagonia,  si fermava invece qui  alla dimensione esistenziale e psicoanalitica del novello Celestino V . E  lo faceva con accenti a volte poetici e ironici  nella figura di un grande Michel Piccoli alla sua ultima performance, che si sofferma rapito alla musica e parole  di Cambia, todo cambia , memorabile ballata della leggendaria Mercedes Sosa, mentre vaga confuso nelle strade di Roma alla ricerca del proprio definitivo cambiamento interiore ed  approderà al luogo della sua antica primaria vocazione, un teatro. Sentendosi allotropo a questa realtà, Moretti si fermava sulla soglia di quel conclave, dove, come in un’arena,  avviene una lotta ferocissima e sorda senza esclusione di colpi,  tra ambizioni dei singoli cardinali, e le immense istanze oggetto del contendere. Ora si tratta di una Chiesa sempre più lacerata tra pulsioni reazionarie di ritorno alla tradizione – che  oramai non ha coscienza nemmeno di sé, realtà di fatto minoritaria e priva di significato– e  il disperato convulso tentativo di adeguarsi a questa dimensione minoritaria e  di fermare una deriva reazionaria che  distrugga quel che rimane del Concilio Vaticano II.  E darvi quindi delle risposte più in sintonia a questa umanità sempre più liquida, in esodo dal sud al nord del mondo, attraversata da diseguaglianze ancor più profonde, con un sacro ormai evaporato e nuovi feticci e simulacri che  incrinano la stessa essenza di coscienza non artificialmente manipolata.

E  questo Conclave , inteso come film del 2024, si situa in un tempo davvero prossimo futuro,  il 2028, e si rifà con fedeltà al  libro dello scrittore inglese Robert Harris che  è fin troppo sorvegliato e politicamente corretto nel dare una lettura verosimile di quello che può accadere in meno di un lustro.

Il regista scelto a garanzia di mestiere e curriculum è l’austriaco Edward Berger, premio Oscar 2023  per il miglior film internazionale, pluripremiato con altre statuette (fotografia, scenografia e colonna sonora) per il suo sontuoso solenne remake di Niente di nuovo sul fronte occidentale. La personalità integerrima ( e perciò non papabile, anche perché in crisi di coscienza sulla sua fede personale e che intende ritirarsi alla fine del percorso) che ha la   responsabilità di guidare la nave del Conclave sembra più sballottata , verso un porto sicuro, è un altro carismatico attore britannico, Ralph Fiennes  nei panni del cardinale decano del conclave Thomas Lawrence :  qui cerca di sostenere il percorso di un progressista similbergogliano come Stanley Tucci , già onusto di nomination all’Oscar e vincitore di 2 Golden Globe come miglior  attore non protagonista, tanto che ha ormai una sua statura da interprete di spessore , oltre che di regista e umanista a tutto tondo. Ma Tucci, qui nelle vesti del cardinal Aldo Bellini, è titubante sul metodo seguito da Lawrence, e in qualche maniera lo frena e si frena per certi  atteggiamenti del decano, mossi da sdegno morale, ma controproducenti, che farebbero il gioco della reazione, cioè del paladino dell’ala simil-lefebriana, del suprematismo cattolico preconciliare. L’”uomo nero” in questione è il cardinale Goffredo Tedesco che,  incarnato  da Sergio Castellitto, assume nella sua spudorata franca retrivialità, una dimensione simpaticamente canagliesca, sorvegliata pure da un’astuzia politica e manovriera che lo fanno muovere come una faina, o  meglio come un gatto coi topi.

Nella fauna in campo non manca il corrotto , nella figura del cardinale Tremblay, il conservatore tradizionale canadese, interpretato da John Lighgow, il mitico protagonista di Doppia Personalità, che conferisce bene un’aura di ambivalenza, a questo prelato che passa da dimostrarsi innocente come un agnello come nel film di De Palma,  fino a quando Lawrence  non scopre le  carte del suo torbido, ai danni di un diretto concorrente, il nigeriano Adeyemi, che potrebbe  divenire il primo papa nero della storia, ma che ha il suo scheletro nell’armadio per un’antica relazione quando allora trentenne ebbe un figlio ( poi dato in adozione) con una giovane 19enne suora locale. Ora Tremblay ha manovrato facendo venire la donna in Vaticano per  affossare nello scandalo il rivale che infatti così viene “bruciato” per il soglio di Pietro. Lawrence però scopre, introducendosi nelle stanze sigillate del defunto pontefice che Tremblay ha comprato i voti di molti cardinali , invischiandoli e ricattandoli in un giro di tangenti, nel cui polverone potrebbe essere anche lambito lo stesso Bellini, il candidato progressista. Che infatti è l’altro cavallo che cade dalla torre e  infatti si ritira dalla candidatura.

Le carte incriminate vengono alla fine , per istinto di sopravvivenza dell’ Istituzione, date alle fiamme perché nulla trapeli di questa lotta feroce per eleggere il Vicario di Cristo: una lotta di potere  che invece dell’alitare puro  dello Spirito Santo, è fatta anch’essa, di quel “sangue e merda”,  di cui parlava con espressione forte e realistica, Rino Formica , a proposito della politica:  trent’anni fa, lucido e inesorabilmente franco ministro craxiano, ma alla fine fuori dagli schemi  (era sempre lui che  di quei congressi fastosi del craxismo rampante, li definiva  affollati da  troppi “nani e ballerine”) . E questo Conclave alla fine è anch’esso pura  lotta politica all’ultimo sangue. 3 candidati su 4  sono così affossati, e il pericolo di una prevalenza del reazionario Tedesco si fa ora sempre più palese. Tanto che la parte liberal riformatrice  preme su Lawrence affinché accetti lui stesso  la candidatura. Sembra tutto pronto per questa soluzione , ma avviene un ennesimo colpo di scena. Lawrence tira fuori dal cilindro questa  oscura figura del cardinale  dell’Afghanistan il messicano Benitez , sconosciuto, solitario, nominato in pectore dal defunto pontefice e ammesso nel conclave all’ultimo minuto.

È il classico misterioso “uomo nell’ombra” , che entra in punta di piedi e  scabra umiltà in questa fossa dei leoni, ma  cresce poco a poco, e si impone  con due suoi concisi ma intensi  interventi pacati, mostrando un  carisma ecumenico universalista. Risuonano in lui  i vibranti accenti di quella Teologia della liberazione che a partire dall’America Latina era stata fino agli anni 80 una realtà viva e presente presso le genti ultime del terzo mondo. in più Benitez pur essendo l’opposto come inclusività e valori di Tedesco, mostra una sua forza tranquilla, ed è la testimonianza vivente e concreta di chi conosce  profondamente  quel popolo  dolente  con cui la Chiesa non riesce più a collegarsi.

Ma il colpo di scena definitivo su Benitez e sull’esito del film  deve ancora venire. Mentre  già si aspetta la fumata bianca dopo la votazione che si terrà il giorno dopo, il decano Lawrence, riceve  un rapporto  su presunte cure mediche, in realtà assai opaco e  strano, che Benitez avrebbe sostenuto. C’è un duro confronto aperto e leale  che il decano sostiene con lo stesso Benitez.  Il quale pacatamente, con grande sincerità , strappa lui stesso il velo nascosto che ci pone tutti  di fronte a una realtà sbalorditiva e sommamente spiazzante. In realtà Benitez  confessa la sua particolare condizione  genetica,  che era a conoscenza del papa morto, fin dalle origini del suo sacerdozio: egli  è in definitiva  un naturale transgender, generato in  una sorta di raro ermafroditismo, per cui era nato con le ovaie. Nell’imminenza del Conclave  il defunto pontefice avrebbe pagato l’intervento di asportazione in laparascopia  dei caratteri riproduttivi femminili, ritenuti  in principio da eliminare per il ruolo di principe della Chiesa. Ma prima dell’operazione  nella clinica specializzata , il papa stesso lo aveva saggiamente fermato dicendo che lui , Benitez, era comunque una creatura di Dio e se Dio aveva deciso così era giusto non alterare questa natura, che andava letta come un suo segno, in una personalità risolta e positiva quale Benitez, irreprensibilmente virile nel carattere e nella dimensione etica,  e non imputabile di un qualche  confuso pervertito orientamento.

Arriviamo così in definitiva  allo scioglimento del dramma rappresentato in questo Conclave con una conclusione clamorosa  del tutto  inaspettata : la Chiesa,  proprio nel momento della sua massima crisi, dove si rischia un arretramento di cinquant’anni dalle riforme del Concilio del “papa buono” e di Papa Montini, con un definitivo dissolvimento nell’insignificanza storica e planetaria, rilancia  la sua determinazione di voler continuare ad essere protagonista nel mondo di oggi  con quanto di più innovativo e controverso lo agita : la teoria del gender assunta proprio  nella persona del suo Papa , accettata certo come condizione naturale di massima inclusività  e  che spezza via qualsiasi discriminazione di etnia e orientamento sessuale. E  il nome che Benitez assume emblematicamente è quello di  Innocenzo XIV , dove il precedente Innocenzo XIIII era stato il papa che  nel 1724 era morto in pieno secolo dei Lumi .  Nella sua figura Benitez assumerebbe la  ferma volontà della Chiesa di non andare contro il progresso della scienza ,ma di governarlo all’interno di un’ etica di universalismo a favore realmente degli ultimi, della giustizia sociale, contro tutti  i sovranismi e suprematismi, dell’inclusione di ogni diversità, vista come opportunità e risorsa e non come handicap di cui vergognarsi.

Tutto molto bello se non fosse solo , per adesso, un film molto ben fatto, politicamente corretto. Un film che  ha mantenuto il fascino  dell’incanto rosso cardinalizio , delle meraviglie della Cappella Sistina,  dei vari nodi e peripezie, della tensione narrativa resa anche dalla bravura degli interpreti. Che può essere visto sia come  un wishful thinking o alternativamente una profezia che si autoavvera, teleologicamente. O se immaginiamo una lettura pastorale di questa storia prossima ventura possiamo ipotizzare che la teologia più aperta alla progressione ulteriore delle idee del Concilio, vi leggerebbe l’ennesima eterogenesi dei fini per i quali la Divina Provvidenza ha alitato, malgré tout, il suo soffio divino. Ma questo varrebbe solo per i credenti.

Mentre altri più scettici e agnostici  la vedrebbero come una fuga in avanti, un adeguarsi allo spirito del tempo mainstream  nella speranza di essere  sulla barca giusta e in compagnia giusta come i 5 animali scampati al grande diluvio in Flow.  Per onore di cronaca  va comunque fatto un pensierino che può insorgere guardando all’insieme del panorama sulle attuali tendenze eclatanti nel grande cinema che conta, quello dei Golden Globe, delle nomination agli Oscar, di Cannes, Venezia , dei Cahiers e del pubblico che risponde al botteghino : è un pensierino che insorge sotto forma di domanda, che non cerca risposte  , ma su cui sarà bene riflettere e sedimentare nel tempo: verrebbe da chiedersi alla fine, come mai il  fin troppo celebrato e montante Emilia Perez  di un grande autore come Audiard , e  questo Conclave , da esso assai lontano trasgressivamente e come linguaggio , hanno in comune la stessa molla che aziona l’uno e risolve l’altro : per entrambi c’è un affidarsi al cambiamento di genere,  visto come  palingenesi che tutto trasforma . E come mai  registi come Guadagnino insistono su  film come Queer, mentrela bibbia dei cinefili, i Cahiers du cinéma, eleggono miglior film del 2024   L’uomo nel bosco , di un altro talentuoso indie autore francese, Alain Guiraudie, molto esplicitamente a tematica queer ?

Tra parentesi, e in margine, il cardinal Benitez è il messicano Carlos Diehz, che fino a questo film  esercitava la professione di architetto ben quotato  a Vancouver e che, prima di  questo ruolo in Conclave, considerava la recitazione soprattutto come hobby.

Infine una citazione su Isabella Rossellini: con soli 8’  di posa , è nella cinquina all’Oscar in lizza come miglior attrice non protagonista. Probabilmente non vincerà, visto la mostruosa straripante bravura di Zoe Saldana, vera coprotagonista in Emilia Perez. In Conclave ha la figura rlevante di madre Agnes, la direttrice degli alloggi del Vaticano, che diventerà decisiva come testimonianza attiva per smascherare le manovre di Tremblay.

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