Firenze – Partiamo dai numeri: i cinesi a Prato sono il 9 per cento di tutta la popolazione, anche se i residenti ‘veri’ potrebbero benissimo essere 40-45 mila contro i soli 17mila iscritti all’anagrafe. I consumi si aggirano sui 172 milioni di euro, vale a dire il 5 per cento del totale (e dunque la metà del loro peso demografico).
In compenso la comunità cinese contribuisce per l’11 per cento al Pil provinciale, 705 milioni, e gli investimenti valgono l’8 per cento, ovvero 125 milioni. Le esportazioni incidono per il 33 per cento.
A dare le “somme” è il rapporto dell’Irpet di fine marzo, che valuta il valore aggiunto della comunità cinese nell’economia pratese. L’anno scorso l’istituto regionale per la programmazione economica aveva quantificato in due miliardi l’anno la produzione del distretto ‘cinese’, con oltre cinquemila imprese presenti sul territorio.
E se putacaso venisse meno la comunità cinese, come spiega l’Irpet con i dati dati quest’anno, “il Pil della provincia di Prato sarebbe più basso del 22 per cento, considerando effetti diretti, indiretti e indotti. Il valore aggiunto delle imprese non cinesi si ridurrebbe del 9 per cento, mentre le importazioni regionali ed estere si ridurrebbero del 36 e 39 per cento”.
Una presenza dunque, di cui non si può certo non fare conto, quella della comunità cinese, anche se le valutazioni non sono solo positive. Esiste infatti “una scuola di pensiero” circa il ruolo della comunità cinese nel territorio di Prato che ritiene questo insediamento colpevole di aver prolungato l’agonia di settori industriali oramai maturi e modalità organizzative non più sostenibili impedendone l’ammodernamento. D’altro canto, esistono anche analisi e analisti che ritengono che abbia portato invece nuove risorse umane e un modello produttivo tuttora vitale. C’è anche una terza via, fatta di un intreccio di opportunità e rischi.
Da un lato è innegabile il problema della sicurezza sul lavoro e del rispetto delle regole, che la Regione ha affrontato con un progetto mirato tenuto a battesimo l’anno scorso e che prevede il controllo di 7.700 aziende in tre anni: oltre cinquemila a Prato, le altre tra Firenze e Pistoia. Un progetto, su cui si è soffermato anche oggi il presidente della Toscana Enrico Rossi, che prevede anche un patto per la regolarizzazione ed emersione delle imprese non in regola, con il coinvolgimento delle associazioni di categoria e gli ordini professionali.
Infine, un occhio alla composizione della popolazione cinese. Nel 2013 il 78% dei residenti cinesi con non più di 17 anni era nato a Prato. Se questo è segno di progressivo radicamento sul territorio, va anche detto che complessivamente i residenti cinesi nati a Prato sono solo il 23%: non molti di più di quanti (il 17%) erano nel 2005, con il 73% degli immigrati che risulta ancora nato all’estero.
Per quanto riguarda la scolarizzazione, i ragazzi cinesi studiano, ma forse meno che altri. Sono pochi infatti quelli che vanno alla scuola dell’infanzia (il 46% contro il 38% del 2005). E solo il 63% frequenta le scuole superiori, in lieve calo rispetto al 2006 e in controtendenza rispetto all’impennata di altre etnie.
Infine, uno sguardo anche all’evoluzione del sistema imprenditoriale cinese a Prato: a giugno 2014 le imprese gestite da cittadini cinesi erano il 17 per cento di tutte quelle della provincia: 39 imprese ogni cento cinesi in età attiva. Rispetto alle sole ditte individuali, quelle cinesi arrivavano addirittura all’88 per cento. Ma l’imprenditorialità cinese si sta progressivamente diversificando: un tempo c’erano solo confezioni, oggi cresce il peso del tessile. Cresce anche il peso del terziario, commercio (all’ingrosso) e ristoranti davanti a tutto. Gli imprenditori cinesi sono più simili oggi ai loro colleghi pratesi. Nella comunità cinese cresce anche la voglia di partecipare. E questo dovrebbe aiutare l’integrazione.
Infine, ecco le conclusioni sintetizzate del Rapporto Irpet: la via dell’integrazione, sociale ed economica, è una necessità, l’unica capace di portare vantaggi a tutti, alla comunità cinese e al resto dell’economia pratese. L’unica strada per lo sviluppo del distretto industriale.