Firenze – Nei prossimi giorni si gioca una partita importante per la nostra democrazia. In tanti se ne sono accorti, soprattutto quelli che non si rassegnano alla presenza di un governo che sceglie e decide. Soprattutto, decide senza lasciarsi troppo condizionare da questo o da quell’interesse, senza essere costretto a chiedere un “bravo” a questa o a quella forza.
Se domani, lunedì 29 settembre, com’è nelle previsioni, Matteo Renzi otterrà il via libera a maggioranza del suo partito sui provvedimenti riguardanti il mercato del lavoro, il Pd dovrà dimostrare di essere un vero partito che discute anche in modo sofferto, ma che poi si schiera compatto per far passare le decisioni prese. E’ questa la prima incognita della partita, dalla quale dipende una buona parte dell’incerto futuro del Paese. Un voto contrario in parlamento della minoranza o, addirittura, una scissione confermerebbe la malattia di cui ha sempre sofferto la sinistra italiana, un cupio dissolvi che ha sempre favorito la parte avversa.
Circostanza che si verificherebbe anche stavolta, nel caso in cui i voti di Forza Italia fossero determinanti per l’approvazione dei provvedimenti: muterebbe sostanzialmente la natura politica di un governo guidato da un partito che ha conquistato il 41% alle ultime elezioni europee. Le dimissioni di Renzi ne potrebbero anche essere la conseguenza, perché il governo di centro-sinistra si trasformerebbe in un esecutivo di unità nazionale senza che niente sia stato concordato, senza pulizia né chiarezza politica.
La delicatezza del momento è resa ancora più evidente dagli attacchi al premier che provengono, in modo niente affatto sorprendente, dalle fonti più diverse. Da un’ala del mondo imprenditoriale rappresentata da Diego Della Valle, per esempio, che si propone di ispirare una nuova compagine governativa di tecnici. Di tecnici, sì proprio così, dopo i pessimi risultati che una loro rappresentanza ha prodotto nel governo Monti, dove l’unico tecnico che ha davvero cambiato il modo di amministrare è stato Fabrizio Barca, che è tutt’altro che neutrale dal punto di vista della posizione politica.
Ci sono poi i vertici della Conferenza episcopale italiana che hanno usato frasi (ambigue) di inattesa durezza nei confronti del cattolico premier. Ancora: due massimi esponenti del giornalismo hanno scritto editoriali che probabilmente erano pronti da settimane, tanto esprimevano la soddisfazione del “ma io l’avevo detto”. E anche episodi come le dimissioni di Raffaele Bonanni segretario della Cisl rivelano movimenti sotterranei ancora non bene decifrabili. Decifrabile invece è Susanna Camusso che, recuperato Maurizio Landini, prepara un grande sciopero generale per bloccare le (eventuali) decisioni del Governo.
Il sindacato si è sempre opposto a riforme del mercato del lavoro che cambiassero la natura delle tutele dei lavoratori, senza avere affrontato con realismo e preveggenza il problema di risolvere una volta per tutte il fatto che il mondo del lavoro da un tempo intollerabilmente lungo è diviso in una minoranza di super tutelati e in una maggioranza di precari o di gente che comunque deve arrangiarsi.
Così Renzi , che vuole seguire le orme di Tony Blair, è paragonato invece alla Thatcher. Ma Blair si era già trovato il lavoro più ingrato delle riforme fatto (con l’accetta, la durezza e la non equità) dalla Lady di ferro ed è stato più facile per lui riportare un po’ di equilibrio fra i redditi delle classi più ricche e quelle più povere. Il presidente del Consiglio si trova, al contrario, a dover cominciare da capo in un Paese bloccato anche dalla inettitudine della destra che ha fatto solo danni e non è riuscita neanche a fare bene il suo mestiere. Deve intervenire per cambiare un sistema che non funziona e contemporaneamente ricostruire la safety net, la rete di sicurezza, il welfare che tutela i lavoratori, che è il compito primo di un governo di sinistra.
Per quanto riguarda la Cei, Della Valle e gli editorialisti, bene, questa è la sindrome di chi sente che al governo c’è una persona che pensa per esempio che i nuovi diritti dei cittadini, non possono essere ostaggio di una venerabilissima istituzione religiosa. Questo certo non significa che Renzi sia un cavaliere solo contro tutti, in nome del Bene. La sua azione politica ha messo in piedi anche rapporti con forze e poteri che non facevano parte del gruppo degli interlocutori di riferimento. Significa però che quegli schemi, che finora non hanno prodotto l’ammodernamento del Paese, sono cambiati. Solo il tempo, accompagnato da un cambio di passo del leader – più profondità e meno velocità – può dimostrare che questo cambiamento è la premessa per rilanciare questo Paese.
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