Come Agnelli in mezzo ai…Leoni

Surreale e retrodatata polemica social tra le varie anime del Pd che se le stanno dando di santa ragione in vista delle Primarie. L’on.Andrea Rossi in un post ricorda (assai giustamente) l’importanza dell’imprenditore Gianni Agnelli (che era pure antifascista e non ha mai taciuto le sue preferenze per i Democratici americani) e scatena la bagarre tra gli esponenti schleineiani che rispolverano categorie classiste e ideologie anni ’70 (tacendo su problemucci vagamente più giganteschi dell’eredità del Pci come le scornate di Berlinguer e compagnia rossa alla Fiat negli anni ’80 od i rapporti strettissimi con L’Urss di Breznev ed Andropov, ovvero con una feroce dittatura). L’onda lunga del filo e dell’anti renzismo scuote ancora ed in profondo i rapporti interni ai dem. Ne vedremo delle belle

AQ16 che irrompe con fumogeni in Iren per l’accordo con l’israeliana Mekorot e sala Tricolore che vota un odg per chiamare a rapporto la stessa multiutility alla Commissione Diritti umani (!); politici che chiedono ad un ospedale di ribaltare gli esiti di un concorso; deputati che votano contro l’invio di armi di difesa agli Ucraini bombardati dai Russi ormai da un anno; celebrazioni nostalgiche del Pci. Bentornati, si fa per dire, negli anni ’70. E’ soprattutto il dibattito reggiano, bellezza. Ed i social, ahinoi, riportano in profondità le diverse anime di un partito che cerca di cammuffarle nei pubblici minuetti.

L’ultimo casus belli, di per sé ascrivibile alla moda di postare pensierini scontati ad ogni ricorrenza vip con l’altrettanto consueto corollario di like od invettive, è però emblematico del sentire profondo delle anime di un partito alle prese con una fase ri-costituente che potrebbe o decretarne la fine o rilanciarlo. Anche col sottofondo costante di un filo e/o anti renzismo (diamo una notizia ai seguaci della Schlein, Renzi non è più segretario Pd da 6 anni) che non cessa di scatenare vecchi rancori o mai sopiti entusiasmi. Due giorni fa il bonacciniano on.Andrea Rossi ha (giustamente) ricordato su facebook l’importanza di Gianni Agnelli nella storia dell’imprenditoria italiana scatenando la reazione nostalgica di un’altra fetta del partito, quella che guarda alla Schlein come la soluzione da izquierda contro lo strapotere attuale del centrodestra. Primo fra tutti il capofila dello schleinismo reggiano Raffaele Leoni, molto vicino al sindaco Luca Vecchi, sindaco che ha preannunciato il suo voto per Bonaccini. Mentre Leoni a suo tempo tirò la volata all’attuale segretario Pd Massimo Gazza, ex turbo renziano come peraltro Andrea Rossi. Insomma anche noi siamo un po’ disorientati.

Per farla breve, si è innescata una querelle dal retrogusto anni ’70 ivi compresa datata terminologia che solo per pudore non è sfociata in una netta contrapposizione tra “padroni e classe operaia”. Forse il renziano Jobs Act non è ancora stato ben digerito da una parte dell’apparato partitico, più probabilmente qualcuno cerca ancora di rispolverare fuori tempo massimo i fasti del dalemismo. Che Agnelli sia stato un grande imprenditore, peraltro dichiaratamente antifascista e filo democratico nella politica statunitense, è fatto orami assodato pure dai libri di storia. Epperò…epperò ad esempio bisognerebbe piuttosto ricordare come ad inizio anni ’80, ed in Urss c’erano Breznev ed Andropov, il Pci mandasse ancora delegazioni di altissimo livello ai Congressi sovietici, senza contare che i rapporti tra sinistra italiana e lavoratori erano già assai incrinati nel 1980 quando Berlinguer ed i sindacati subirono proprio alla Fiat una sconfitta epocale. Agnelli aveva del tutto ragione sulle questioni di fondo, cioè l’adesione ad una società a libero mercato ed il collocamento euro-atlantico dell’Italia.

Insomma un ritorno al passato ma come insegna Marx quando la storia si ripete, solitamente è sotto forma di farsa. A proposito, pochi giorni fa ricorreva l’anniversario dell’omicidio di Guido Rossa, operaio iscritto al Pci ed alla Cgil, ammazzato dalle Br perché denunciò “compagni” che avevano distribuito in fabbrica materiale propagandistico del gruppo terrorista. Questi sarebbero temi da affrontare molto più utili alla causa visto che non troppo tempo fa, in un circolo Arci reggiano, si è esibito un simpatico gruppo musicale sedicente filo Br. Riproponendo invece solo e sempre un gerontico cliché, si rischia di consegnare il partito che verrà alla semi-irrilevanza. E molti di costoro, un tempo super giovani idealisti, che oggi vengono giustamente aiutati da un partito che ha ancora un suo perché, rischiano di doversi sbattere per sbarcare il lunario proprio su quel libero mercato così tanto vituperato, se non avessero già raggiunto la pensione. Dante la chiamerebbe legge del Contrappasso.

N.B. I nostalgici del comunismo devono capire che, purtroppo per loro, sono finiti per sempre i bei tempi in cui a Reggio il Pci decideva non solo i primari degli ospedali ma pure i bidelli delle scuole ed i portinai dei palazzi. Per sempre, irrimediabilmente. E non torneranno più. Tu chiamala se vuoi democrazia.

 

 

ALLEGHIAMO L’INCIPIT DEL DISCORSO TENUTO DA PAJETTA A MOSCA NELL’81. ECCO DI COSA DISCUTEVANO I COMUNISTI ED I GIOVANI COMUNISTI DI ALLORA E CHE OGGI POLEMIZZANO SU AGNELLI:

L’incipit del discorso tenuto da Giancarlo Pajetta, responsabile delle relazioni estere del PCI, il 27 febbraio 1981 al 26° Congresso del PCUS, pubblicato il giorno dopo sulla prima pagina de “L’Unità”.
L’invasione dell’Afghanistan da parte dell’URSS nel 1980, il dilagare delle proteste operaie guidate da Solidarnosc in Polonia (Jaruzelski non aveva ancora instaurato la legge marziale) e l’adesione del PCI all”eurocomunismo” avevano riportato in Europa un clima da guerra fredda tra l’occidente e il blocco dei paesi del Patto di Varsavia gravitanti attorno all’Unione Sovietica, oltre a provocare un certo raffreddamento nei rapporti tra il PCI e il PCUS. Ecco le parole pronunciate da Pajetta a Mosca.

«Cari compagni, seguiamo con grande interesse il vostro Congresso aperto dall’importante discorso del compagno Breznev che ha già suscitato nel mondo un’eco larga e nuove speranze di pace. Questo discorso prospetta una linea rivolta alla ricerca di negoziati e di intese perché possa riprendere il processo di distensione e di difesa della pace. Il compagno Breznev ha avanzato concrete proposte per il blocco della corsa agli armamenti e per la loro equilibrata riduzione, per adottare misure di reciproca fiducia e per avviare trattative che possano porre fine ai conflitti.
Noi vi portiamo il caloroso saluto dei comunisti italiani. Noi ricordiamo il significato storico della grande Rivoluzione d’ottobre che ha aperto l’epoca della liberazione dell’uomo dall’oppressione e dallo sfruttamento. Ricordiamo l’apporto decisivo dato dall’Unione Sovietica, dal suo partito, dal suo esercito, dal suo popolo alla sconfitta del nazismo e del fascismo, quando, con altri popoli ed altre forze antifasciste, abbiamo combattuto la nostra guerra partigiana. Ricordiamo la funzione dell’Unione Sovietica in una fase che ha visto e vede svolgersi il travagliato processo di liberazione delle colonie, creandosi le condizioni che hanno reso possibile ai paesi del Terzo Mondo di essere tra i protagonisti sulla scena mondiale. Pur se fra i nostri due partiti ci sono differenze ed anche divergenze su questioni importanti, noi pensiamo che il dibattito possa essere utile e fruttuoso per potere meglio comprenderci e — come ha detto il compagno Breznev — per trovare un modo di dare, ciascuno, il proprio contributo alla difesa della pace, alla libertà di ogni popolo, al progresso e alla giustizia sociale. II nostro è il saluto di un partito che ricorda oggi i suoi 60 anni, che si è affermato come un’avanguardia combattiva e un’organizzazione di massa: un partito che chiama i suoi iscritti — 1.760.000 — alla elaborazione e alla lotta per difendere, uniti agli altri lavoratori, le conquiste democratiche sancite dalla Costitituzione della Repubblica naia dalla rivoluzione antifascista. Noi lottiamo per far avanzare…” (ecc.ecc.)

NB – Come riporta l’Unità del 28 febbraio 1981, Gian Carlo Pajetta parlò nella Sala delle Colonne, all’interno del Palazzo dei sindacati, ad un attivo dei comunisti di Mosca che — presieduto da Viktor Griscin. segretario cittadino e membro dell’Ufficio politico — era stato convocato per ascoltare i discorsi di alcune delegazioni straniere. A Pajetta non fu quindi concesso l’onore di parlare “dalla tribuna del Palazzo dei Congressi all’interno del Cremlino, di fronte alla platea dei delegati ed agli ospiti, dove ancora ieri mattina – scrive l’Unità – avevano letto i loro discorsi il segretario cileno Corvalan, il tedesco occidentale Mies e il 5ud-yemenita Ali Nasser Mohammed e dove nei giorni scorri avevano parlato molti altri capi delle delegazioni straniere”.;

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