Clima, possiamo cambiare il trend. Ma non vogliamo

Firenze – Finalmente le preoccupazioni per gli effetti nefasti di alcune attività dell’uomo sul clima hanno raggiunto una parte consistente della popolazione. Condizione, questa, per avviare serie politiche per contenere i danni provocati dall’effetto serra, quindi per ridurre drasticamente le emissioni di anidride carbonica (CO2) e degli altri gas serra, come il metano (°). 

La mobilitazione popolare è necessaria per scuotere l’inerzia e la corta visione dei governanti e per contrastare il negazionismo: in passato quelli i cui affari sarebbero messi in difficoltà da norme che limitano le emissioni si sono mobilitati per screditare le previsioni degli scienziati che denunciavano i rischi. L’esempio più noto è quello della Exxon Mobil, che ha finanziato Think Thanks che sfornavano opinioni contrarie alle previsioni sui rischi climatici.

Parallelamente sono aumentate le informazioni sui possibili rimedi che l’umanità dovrà predisporre, informazioni non sempre chiare e corrette. Il pubblico a cui ci si rivolge, inclusi i politici, spesso non è preparato a valutarle, quindi a valutare le difficoltà da affrontare per cambiare stili di vita e il modo di produrre e di consumare.

La strada è lunga e ardua. Conosciamo il problema, come anche la soluzione, abbiamo anche la tecnologia per farlo, ma manca la volontà. 

Si stima che il costo per abbattere le emissioni in tempo utile sia di trilioni di dollari. Difficile trovarli, ma da qualche parte dobbiamo incominciare. Più facile trovare i 600 milioni che un club calcistico è disposto a sborsare per comprare una stella come Neymar. 

E’ chiaro che per disporre di energia senza contribuire alla crisi climatica è indispensabile puntare sulle energie rinnovabili, ossia sull’energia solare e su quella del vento; nell’Unione Europea, dal settembre 2018, le nuove installazioni di fonti di energia elettrica sono per il 95% fonti di energia rinnovabili.

Un contributo essenziale verrà dal risparmio energetico e dall’aumento dell’efficienza degli apparati che impiegano energia, dai motori agli elettrodomestici. La transizione dall’illuminazione con lampade a incandescenza che hanno un’efficienza luminosa bassa (15-20 lm/W) a quelle fluorescenti (60-100) e infine ai LED (90-300) ne è un buon esempio.

Un altro esempio: se in Cina tutti i frigoriferi fossero sostituiti con modelli più efficienti si ridurrebbero le emissioni di almeno 40 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. 

In senso opposto vanno provvedimenti come l’aumento del limite di velocità sulle autostrade a 150km/h e la diffusione di auto di grossa cilindrata.

La conversione dell’alimentazione dei trasporti da carburante a elettrica è un esempio intermedio: molti credono che in questo modo si annullerebbero le emissioni di CO2 tipiche dei motori a combustione interna. Ma non si tiene conto che l’energia elettrica oggi si ottiene prevalentemente bruciando combustibili fossili, quindi generando proprio quella anidride carbonica che si intende ridurre (*); si stima che i gas serra derivanti dalla produzione e dall’uso di veicoli elettrici durante la loro intera vita siano solo circa il 17-30% inferiori rispetto alle emissioni dai mezzi tradizionali. 

Inoltre si deve ricordare che la produzione di auto elettriche richiede materiali tossici e ad alta intensità energetica.

Una attenzione è dedicata anche al possibile contributo dell’energia nucleare, poiché i reattori elettronucleari non emettono gas serra. La potenza complessiva degli impianti esistenti è di quasi 400 gigawatt (2018).

Però, secondo il  World Nuclear Industry Status Report (2019) il tempo medio per la costruzione di un reattore nucleare è di dieci anni (ma  la World Nuclear Association dà una stima inferiore, 5-8,5 anni); inoltre il costo di un megawattora da energia nucleare è  110- 190 dollari, mentre da energia eolica onshore è 29-56 $  e da energia solare è 36-44$. Il principale autore del report ha detto: Stabilising the climate is urgent, nuclear power is slow. (….).  To protect the climate, we must abate the most carbon at the least cost and in the least time”. Inoltre una eventuale decisione di puntare sullo sviluppo nucleare dovrebbe tener conto anche del sentimento, in generale ostile, delle popolazioni.

Tra i provvedimenti allo studio e sperimentati ricordiamo i progetti per sequestrare la CO2 prodotta dagli impianti industriali come raffinerie, cementifici, impianti siderurgici (stoccaggio geologico). Questo richiede forti investimenti e comunque non inciderà in modo consistente sul controllo dell’effetto serra.

Mentre si dibatte sul modo per allontanare la catastrofe climatica, già assistiamo, e assisteremo nei prossimi decenni, alla geopolítica Artica, per poi far entrare in gioco l’Antartide; queste, e altre, saranno zone vivibili se (o quando) la maggior parte delle aree terrestri dovessero diventare invivibili. L’offerta di acquistare la Groenlandia indica in quale direzione si muoveranno i poteri forti.

Sul problema del cambiamento climatico, sui rischi connessi, sui possibili interventi per rallentarlo possono essere fatte molte altre considerazioni. Ottimi articoli sono disponibili in letteratura e in rete.

In generale, l’attuale struttura prevalente nell’economia mondiale, basata sui consumi crescenti e sullo spreco, non sembra in grado di affrontare con efficacia il problema. D’altra parte timidi e incerti sono i tentativi di delineare uno sviluppo alternativo dell’economia e della società.

(*) La conversione ha però il merito di ridurre l’inquinamento delle nostre città.

(°) Principali imputati sono i combustibili fossili che provvedono a circa l’’85% del fabbisogno energetico mondiale: il petrolio contribuisce per circa il 40%, il carbone per il 26% e il gas naturale per il 23%; il 7% viene dall’energia nucleare.

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