Clima: meno euforia per le auto elettriche, l’obiettivo resta l’idrogeno

Il parere di Giovanni Ferrara, docente di ingegneria industriale a Firenze

L’idrogeno, l’idrogeno, l’idrogeno. La parola salvifica per risolvere il drammatico problema del Climate Change con tutta la forza di distruzione che si porta dietro e la fatica di vivere che aumenta. Insomma, sempre più questione di vita o di morte del pianeta, ma anche di adempimenti da compiere visto che l’Europa prevede la totale decarbonizzazione entro il 2050, e per il 2030 ha accelerato la meta prevista di riduzione intermedia, portandola al 55% in meno rispetto al 1990 per diventare meno 90% già nel 2040. Mentre intanto questo aprile ha già anticipato la soglia massima di 1,5 gradi di innalzamento della temperatura che era prevista invece nel 2030. Bene, l’idrogeno resta l’obiettivo.

“Bisogna però rendersi conto che l’idrogeno, cui comunque dobbiamo puntare, almeno nell’immediato non ci salverà. Ci vuole tempo e inoltre non esistono pozioni magiche per la transizione ma sono necessarie tante soluzioni intrecciate e soprattutto comportamenti umani diversi”, dice con passione l’ingegner Giovanni Ferrara, professore ordinario al dipartimento ingegneria industriale della scuola di ingegneri dell’Università di Firenze. “Altrimenti – prosegue – ci affidiamo a convinzioni semplicistiche mentre la transizione è lunga e vuole una molteplicità di interventi. L’idrogeno in quantità sufficiente per ora non c’è e non ci sarà tra due anni, e neanche tra tre. Sarebbe già buona cosa se potessimo realizzare la transizione nell’arco dei 25 anni”, cioè arrivare entro il 2050 alla famosa neutralità carbonica, ovvero uno stato di equilibrio tra le emissioni di anidride carbonica (Co2) di origine antropica e la loro rimozione da parte dell’uomo, in modo che la differenza tra i gas emessi e quelli estratti sia pari allo zero. “Sarebbe già buona cosa perché la situazione del clima nel mondo è davvero drammatica”.

Si va lenti perché mancano i finanziamenti da parte dei governi? “Ce ne sono a valanga, l’Europa apre le tasche, il Pnrr ne prevede tanti. Non è questo il problema. È che la sostenibilità ambientale deve essere anche sociale e economica e le difficoltà dell’idrogeno da usare nei trasporti non sono state ancora superate se non in piccola scala né sarà facile farlo in due balletti, anche se ci si deve impegnare in questo senso”, dice il professore. Quanto all’elettrico, Ferrara è convinto che l’iniziale euforia si sia già ridimensionata nonostante, al contrario di quelle a idrogeno, le auto elettriche siano ormai abbastanza diffuse. “Ma la convinzione del miracolo elettrico è affrettata e difettosa ”, avverte il professore che dal suo dipartimento collabora fattivamente anche con l’azienda giapponese Yanmar che ha fondato il suo primo centro di ricerca e sviluppo in Europa proprio a Firenze, in virtù della collaborazione della Regione Toscana e dell’esperienza della scuola di ingegneri dell’Universita di Firenze.

Bene impegno e ricerca, secondo l’ingegnere, nel senso della mobilità elettrica ma assai di più dell’idrogeno. “Eppure funzionerà solo se avremo la consapevolezza che ci vuole tempo, che in campo ambientale non esiste una sola soluzione salvifica, ma tante soluzioni diverse messe insieme”. La sostanza di cui Ferrara è però soprattutto convinto è che, ancora più dei carburanti puliti per muovere i motori, il vero passo in avanti non potrà consistere altro che nella diminuzione di quegli stessi motori privati e in “un diverso paradigma di mobilità: trasferita sui mezzi pubblici o i mezzi in condivisione come il car sharing. E poi, mobilità dolce, a piedi, in bici, sul monopattino”.

Vanno considerate, per evitare frettolose speranze, le tante difficoltà sia dell’idrogeno che dell’elettrico. Essendo ambedue, sottolinea Ferrara, “vettori che in natura non esistono e farli esistere è complicato. Dobbiamo anche cambiare le parole con cui descriviamo il sogno della transizione perché le parole comunicano e la comunicazione è importante per evitare svarioni e false speranze”. Non a caso , Ferrara che ha anche scritto sull’argomento in una pubblicazione della Crusca. Intanto, serve non pensare l’ idrogeno (H2) in termini semplificati quando invece è un sistema complesso. “Come abbiamo già detto – precisa il professore – non si trova in natura ma è un vettore energetico, prodotto e raccolto da una fonte di energia precedente. A seconda di come questo avviene, si distinguono diversi ‘colori’ di idrogeno. Di questi solo due lo qualificano come low-carbon: il verde prodotto per elettrolisi dall’acqua usando energia elettrica rinnovabile e il blu prodotto da combustibili fossili ma con cattura e stoccaggio delle emissioni di carbonio (tecnologia CCS). Per ora però, oltre il 90% della domanda d’idrogeno viene coperta con H2 grigio prodotto da combustibili fossili” .

Quanto ai termini, guai a parlare genericamente di emissioni: “Una cosa sono le emissioni inquinanti dell’atmosfera come polveri, ossidi di azoto, biossido, idrocarburi incombusti, e altre sostanze, tutte dannose per la salute e cosa diversa sono le emissioni di gas climalteranti, al vertice delle quali sta l’anidride carbonica, la Co2.Le prime nuocciono alla salute di chi le inala, lì e subito. Le seconde consistono in gas che nuocciono agli equilibri termici del pianeta e il danno si propaga dappertutto da qualsiasi parte i gas arrivino, è permanente e non rimediabile intempi brevi ”. Illusorio, dunque, sentirsi al sicuro all’ombra di eventuali auto nostrane a elettricità e nel futuro anche a idrogeno perché i gas climalteranti attentano alla vita del pianeta da qualsiasi parte del medesimo siano scaturiti e in modo uguale per tutti. Sono democratici.

L’altro errore più comune, secondo Ferrara, è considerare elettrico e idrogeno direttamente carbon free, perché, avendo bisogno di energia per essere formati, lo sono, sì, ma solo se derivati da energie rinnovabili di cui l’Italia si serve alla cifra record del 40%, ma basta che invece le stesse auto elettriche o a idrogeno circolino per esempio in Polonia o altri paesi in cui la fonte energetica è ancora prevalentemente il carbone per dover dire addio a tutti i vantaggi anche nel resto del mondo.

A proposito del “tormentone – dice l’ingegnere che dell’elettrico non è entusiasta – dell’auto elettrica di cui parliamo come veicolo a emissioni zero e dunque doveroso da acquistare per sostituire le macchine termiche, soprattutto quelle Diesel, va chiarito che per alimentare un motore elettrico a bordo di un’auto si usa una batteria e pertanto non si effettua la combustione di un combustibile di origine fossile. Ma siccome, come per l’idrogeno, non esistono giacimenti in natura di energia elettrica e la si può ottenere solo trasformando fonti di energia primaria, tra cui quelle attualmente più impiegate sono petrolio, carbone metano e dunque sostanze che emettono gas climalteranti, l’auto elettrica giova solo alimentata da elettricità scaturita da fonti rinnovabili, cioè la minoranza ”.

Ma le fonti rinnovabili sono tante, potremmo obiettare: energia solare, energia eolica, energia idraulica, energia geotermica, energia delle maree. “Da ognuna di queste fonti è possibile ottenere energia elettrica mediante un processo di conversione energetica, è vero – è la risposta – Ma le fonti rinnovabili non esistono dappertutto in ugual misura e la certezza assoluta della missione salvifica dell’elettrico è solo illusione: alcuni paesi producono energia quasi esclusivamente da fonte rinnovabile (ad esempio Islanda, Svezia e Norvegia) mentre altri utilizzano ancora molte fonti fossili compreso il carbone (ad esempio la Polonia). A livello mondiale gli Stati Uniti emettono molta più Co2 di noi e Cina e India moltissimo più di noi. Mentre un’auto elettrica è completamente risolutiva per l’ambiente solo se l’energia è prodotta da fonte rinnovabile (o nucleare) e siccome il danno da Co2 non ha confini bisogna
considerare che a livello mondiale le fonti rinnovabili si aggirano ancora intorno a una percentuale molto bassa, dell’11%. Il resto deriva da fonte fossile. Per non parlare della fase di produzione dell’auto elettrica e di quella, ancora peggiore, di smaltimento”.

Anche “per ottenere l’idrogeno – ribadisce Ferrara – occorre partire da un’altra fonte primaria. Lo si può infatti ottenere sia dalle fonti fossili (metano, petrolio, carbone), che dalle biomasse e, soprattutto, dall’acqua attraverso l’elettrolisi ovvero utilizzando l’energia elettrica per dividere l’acqua nei suoi due componenti, idrogeno e ossigeno. Se l’elettricità utilizzata per l’elettrolisi proviene da fonti rinnovabili come l’energia solare o eolica, l’idrogeno risultante viene considerato verde perché il suo impiego non comporta emissioni di Co2. Dato però che al momento nel mondo la produzione di idrogeno verde è assai limitata , prima di gridar vittoria, l’unica via percorribile è quella di chiudere progressivamente il rubinetto delle fonti fossili a favore delle rinnovabili” .

E qui, sul rapido incremento di fonti rinnovabili, si apre un altro formidabile problema, spiega Ferrara: “Non solo di costi, di persone infastidite che protestano, di eventuale impatto con la flora e la fauna, ma il vero nodo sta nella discontinuità di queste fonti, essendo dipendenti da fattori naturali incontrollabili. Se tira vento o meno per le pale eoliche; se c’è o non c’è il sole e se è giorno o notte per il fotovoltaico. Così bisogna imparare a stoccare l’energia da fonti rinnovabili per bilanciare la discontinuità. Si possono usare le batterie, ma una cosa è toccare una piccola produzione per un’unità abitativa, altra è farlo per soddisfare le necessità di un intero paese o addirittura un continente. Negli ultimi casi occorre allora lavorare su due livelli: da un lato gestire in maniera intelligente e condivisa la produzione (ad esempio accoppiando il fotovoltaico che massimizza la sua produzione nelle stagioni estive e di giorno con l’eolico che lo fa nelle stagioni invernali e di notte) e, dall’altro, ridurre il consumo, attraverso le cosiddette smart grid, le comunità energetiche”.

Ancora più complesso è stoccare l’assai volatile idrogeno che “può essere compresso, ma solo se molto energicamente, e trasportato come si fa con il metano nei gasdotti, seppure con alcune difficoltà aggiuntive. Una volta poi che lo si voglia riutilizzare, l’idrogeno può essere impiegato come combustibile o trasformato di nuovo in energia elettrica attraverso un reattore elettrochimico in cui avviene il processo inverso rispetto all’elettrolisi: la cella a combustibile che può essere impiegata anche su un’auto, o più in generale su un mezzo di trasporto elettrico”.

È un mezzo pulito l’idrogeno? “Se per l’auto elettrica convenzionale questo dipende da come è stata ottenuta l’energia elettrica con la quale si è ricaricata la batteria, in questo caso dipende da come è stato ottenuto l’idrogeno immagazzinato nel serbatoio. Se è idrogeno verde (ottenuto solo da fonte rinnovabile) allora la risposta è affermativa, se è idrogeno acquistato sul mercato oggi (per oltre il 90% proveniente da fonte fossile) allora purtroppo la risposta è negativa. Ma di nuovo tutto questo va guardato nella prospettiva della transizione energetica ovvero di una progressiva trasformazione della filiera di approvvigionamento energetico nel quale, come anticipato, l’idrogeno può fare la sua parte ed essere verde. Ma è una filiera che va trasformata”, risponde l’ingegnere.

Volendo e impiegando tempo, si può. Ma la soluzione non sarà mai efficiente “se non pensiamo a un cambio di paradigma della mobilità. Altrimenti non salveremo mai l’ambiente, anche se ognuno avrà una macchina elettrica o a idrogeno mentre sarebbe assai più utile ed economico condividere un mezzo solo tra più persone. Ridurre anche solo il 10 % di Co2 emessa a chilometro richiede uno sforzo tecnologico pazzesco. Ma, se due persone usano una sola auto, dimezzano le emissioni di Co2. Figuriamoci quanta ne risparmiano tante persone su un tram. Inoltre, mentre le soluzioni tecniche sono lunghe e laboriose da compiere, la condivisione dei mezzi, come il trasferimento sui mezzi pubblici, sarebbero possibili già da oggi”. In poche ma definitive parole: “Non c’ è transizione energetica senza
transizione comportamentale per cui valga il bene comune piuttosto delle massimizzazione del profitto personale”.

“Alla domanda tipica: ‘Che auto mi compro, Diesel, benzina o elettrica?’ – racconta l’ingegner Ferrara – di solito rispondo: ‘Ma sei sicuro di dover cambiare auto?’. Non è questione da poco perché si ha l’impressione che la gravità della situazione sia, a livello globale, troppo poco percepita e che tendano a prevalere gli interessi economici delle singole nazioni. Tanto che la velocità di crescita della consapevolezza potrebbe essere decisamente troppo bassa rispetto alla velocità con cui l’ambiente reagisce”. Anche perché a livello degli effetti nocivi dei climalteranti non si rimedia in un giorno e neanche in un anno, ma in molti e molti anni, sottolinea Ferrara.

“Si parla del 2050 come termine massimo per la decarbonizzazione – conclude – ma il pensiero deve avviarsi oggi e non contemplare più solo macchine elettriche e colonnine o futuribili miraggi all’idrogeno. Ci sono altri mezzi comportamentali già pronti per iniziare a abbattere la Co2 da subito, pur continuando ovviamente a lavorare per ottenere idrogeno e elettrico puliti. Ma da subito dovremmo, e potremmo, cambiare il modo di muoverci nelle città, rimuovere la maleducazione che spinge a spendere per motori alternativi e colonnine per solo diecimila chilometri l’anno che è la percorrenza media italiana e usare invece auto in sharing, mezzi pubblici, bici, monopattino. Restando, lo ripeto, fondamentale la ricerca sulle
rinnovabili”.

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