Clima, a rischio la struttura della società umana

Parma – Nel lontano passato la vita si è rifatta da estinzioni pesantissime che hanno spazzato dalla Terra la maggioranza delle speci esistenti. Così è probabile che sarà nuovamente nel lontano futuro. Oggi non è la vita sulla Terra che si trova a rischio, e neanche la specie umana, ma la società umana come la conosciamo, come si è sviluppata negli ultimi 8000 anni, in coincidenza con un periodo di stabilità climatica eccezionale, chiamato l’Ottimo Climatico.

Oggi il problema sta nella velocità di questo cambiamento. Alla base del fenomeno c’è l’aumento della concentrazione atmosferica dei gas a effetto serra a causa delle attività dell’uomo.

La necessità di una  riduzione drastica delle emissioni di gas serra, quindi anche di una transizione energetica, non è  un problema di altruismo ambientale.  E’ in gioco la stessa sopravvivenza della nostra struttura sociale.

Il problema va affrontato da vari lati: fonti alternative ai combustibili fossili, risparmio, efficienza, riduzione degli sprechi; e, forse, sequestro dell’anidride carbonica dall’atmosfera e riduzione dell’assorbimento dell’energia solare. Ma questo basterà?

L’anidride carbonica che è stata già immessa nell’atmosfera vi rimarrà a lungo (il tempo medio si sopravvivenza è di circa cento anni); se da oggi cessassero completamente le emissioni (1),ci vorrebbero almeno una cinquantina d’anni per tornare a una concentrazione di 350 ppm, ritenuta la soglia sicura per evitare stravolgimenti estremi del clima.

Molti paesi già da tempo si muovono per limitare gli effetti nefasti che gli scienziati prevedono se continuerà indisturbata l’emissione di gas serra, mettendo in atto restrizioni e politiche mirate a ridurre le emissioni: efficientamento energetico delle abitazioni (in Italia il 20% delle emissioni di CO2 viene dal riscaldamento domestico): produzione di energia pulita rinnovabile in sostituzione della produzione da fonti fossili: autonomia energetica delle aziende agricole (il 20% delle emissioni proviene dalla agricoltura) e riduzione del contributo dell’ industria, responsabile del 30% delle emissioni; riduzione delle emissioni dovute dalla mobilità, che contribuisce anche indirettamente per il 25%; forestazione. Anche la riduzione degli sprechi giocherebbe un ruolo importante: gli acquedotti italiani perdono il 50% dell’acqua che distribuiscono e nel 2019 abbiamo buttato quasi un miliardo ti tonnellate di cibo, circa un sesto di quanto se ne produce; dimezzare gli sprechi alimentari darebbe una riduzione dell’8% delle emissioni di gas serra.

L’elettricità, che rappresenta circa il 25% dell’energia usata, è stata prodotta, nel 2020, prevalentemente da combustibili fossili. Soltanto il 12% è stato prodotto da sole e vento, mentre il resto proviene da idroelettrico e nucleare. 

Il fotovoltaico, l’eolico onshore e offshore devono diventare la pietra angolare delle politiche energetiche internazionali, purché si raggiungano alti tassi di installazione. Nel 2000 gli impianti fotovoltaici fornivano meno dello 0,01% dell’elettricità globale, nel 2018 la quota è salita di oltre 300 volte; dieci anni fa fornivano circa lo 0,2% dell’energia elettrica mondiale; otto anni dopo la quota saliva a circa il 2,2% (per confronto, le centrali idroelettriche ne forniscono il 16%).

Altre alternative?

– I reattori elettronucleari non emettono gas serra; quelli in funzione producono circa 1500 terawattora (1012); sono circa 450, ma da trent’anni il loro numero non aumenta: costi crescenti, il problema delle scorie radioattive, incidenti. Alcuni stati intendono rinunciare a questa opzione. Ciononostante,in Italia e in altri paesi si stanno formulando progetti di piiccoli reattori, tipo quelli in uso nei sommergibili nucleari e in alcune grandi navi.

– La fusione nucleare, che potrebbe fornire energia pulita, ha suscitato grandi speranze nel passato, ma i risultati, nonostante gli sforzi e gli ingenti investimenti, sono negativi.

Non appaiono promettenti né realistiche le tecniche che prevedono la cattura della CO2 dalle fonti di emissione e il suo stoccaggio sotterraneo, nè le altre tecniche di “geoingegneria”. Pur così essendo, queste tecniche vengono considerate nei piani futuri di riduzione delle emissioni elaborati dall IPCC: ad esempio, lo sbiancamento delle nubi per accrescere l’albedo terrestre, o l’installazione di enormi specchi in orbita per diminuire l’energia assorbita dalla Terra, o il recupero diretto di CO2 dall’atmosfera…

Ciascuno può dare il suo piccolo contributo, ad esempio riciclare i rifiuti, isolare termicamente le abitazioni, usare la bicicletta per il trasporto breve anziché l’automobile, mangiare meno carne e più verdura, ridurre l’impiego del riscaldamento e del condizionatore, eccetera. Ciò non sarà comunque sufficiente a ridurre in modo significativo le emissioni.

Se queste misure non saranno risolutive serviranno almeno ad attenuare gli effetti nefasti del cambiamento del clima.

Se le resistenze diffuse sono difficilmente superabili, l’ostacolo più duro sta nel fatto che diversi settori chiave dell’economia dipendono dai combustibili fossili in modo non sostituibile per ora: cherosene per gli aerei, gasolio, olio combustibile, gas liquefatto per navi cisterna e portacontainer, coke per la produzione di un miliardo di tonnellete di ferro e leghe ferrose, produzione di 4 miliardi di tonnellate di cemento (responsabile del 5% delle emissioni: per ogni chilo di cemento prodotto si libera circa un chilo di CO2); si aggiunga la sintesi di circa 170 milioni di tonnellete di ammoniaca e di 400 milioni di tonnellate di plastica e il riscaldamento di ambienti.

Sono passati 34 anni dagli acccordi di Kyoto ed è cambiato fondamentalmente poco. Sembra scarsa la speranza che i nuovi accordi risultino in una svolta sufficiente; Cina e India stanno aumentando l’impiego di combustibili fossili! La mitigazione ha senso se fatta in tempo.

 Forse le recenti ondate di caldo (oltre 50° nel nord del continente americano),l’aumento delle inondazioni e degli incendi scuoteranno le coscienze più dei rapporti del IPCC, ma ciò non basterà comunque.

Forse nei prossimi anni ai provvedimenti per ridurre le emissioni si aggiungeranno progetti per affrontare gli incombenti cambiamenti del clima, come lo spostamento di popolazioni dalle zone a rischio verso regioni che diventano abitabili.

L’umanità dunque è chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo. Questi cambiamenti si possono fare in modo programmato e preventivo, o verranno fatti per necessità di fronte alle gravi conseguenze  del cambiamento cimatico..

Le trasformazioni dovrebbero essere associate allo sviluppo di una società giusta, dove la solidarietà umana prevalga sulla competizione selvaggia. Non ha senso pensare di salvare la specie umana se questa non merita di essere salvata.

Citiamo ancora le parole di Papa Francesco (16 giugno 2015): “ Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della Terra quanto il grido dei poveri”.

Roberto Fieschi e Miquel Rosell Fieschi (°)

———————-

(1) Le attuali emissioni di anidride carbonica sono cira 33 miliardi di tonnellate/anno.

(°) Roberto (nonno) e Miquel, (nipote) negli ultimi anni si sono incontrati spesso per discutere dei cambiamenti climatici. . E ogni volta il loro sconforto aumentava.

Per saperne di più:

Peter Walhams – Addio ai ghiacci. Bollati Boringhieri, 2017

 

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