Claudio Carabba: una sera, intorno a un tavolo da gioco

Firenze – “Sto scrivendo e vorrei piangere”: così con il suo spirito irridente e  scanzonato Claudio Carabba detto Ciccio parodiava l’attacco dell’articolo che un collega aveva avuto l’incarico di scrivere su di lui, vittima innocente della sparatoria che concluse la ribellione di due detenuti del carcere di San Gimignano nell’agosto del 1975. Carabba fu preso in ostaggio insieme a un collega della Rai, dopo che aveva accettato di far parte della delegazione di mediatori per porre fine alla rivolta. I carabinieri approfittarono di un momento  di disattenzione dei rivoltosi: ne uccisero uno, l’altro si arrese. Poteva finire male e Ciccio per anni si è divertito a prendersi in giro.

Grandi risate, in realtà  aveva onorato il suo mestiere e il suo coraggio. Oggi tocca a noi onorarlo nel giorno della sua scomparsa. Aveva 77 anni una moglie che gli è stata accanto per tutta la vita, nella buona e nella cattiva sorte, e due figli. La sua carriera la dice lunga sul carattere e sul talento giornalistico. Scrittore di successo (fra tutti i libri, il geniale “fascismo a fumetti”), animatore culturale, anche cronista per qualche anno, fino a ieri uno dei più seguiti critici cinematografici, decano, amico e protettore di  coloro che seguono le produzioni cinematografiche.

Ciccio in realtà sapeva e poteva scrivere di tutto grazie a una grande preparazione culturale e a una penna brillante e malandrina. Si aspettavano le sue recensioni per andare al cinema e i ritratti dei personaggi di cui parlava,  anche i suoi commenti ricchi di sapide metafore sulle peripezie della Fiorentina. Molti di noi hanno tentato, con modesti risultati, di imitare il suo stile che riusciva a essere asciutto mentre non trascurava i dettagli di colore, quelli che rendono la lettura facile e piacevole.

Chi ha lavorato insieme a lui, seppure per pochi anni, ne ha potuto conoscere anche i sentimenti di profonda solidarietà umana e di sincera amicizia, al di là di un salace spirito fiorentino capace di prendere in giro ma nello stesso tempo di sostenere chi sentiva più fragile.

Permettetemi di raccontare un episodio accaduto nel 1977, quando Carabba, il giornalista fatto e finito e il sottoscritto, il praticante inesperto, furono inviati dal Paese Sera a Kiev per seguire la squadra di calcio e  i vertici del Comune di Firenze in occasione di un gemellaggio fra le due città. Fra i talenti di Ciccio, c’era anche quello di essere un bravo giocatore di poker. Nessuna sorpresa: l’uomo amava tutto ciò che poteva mettere alla prova intelligenza, carattere e abilità e avrebbe potuto anche trovarsi sulla barca di Ambrogio Fogar che nell’Atlantico rubò la vita del suo collega e grande amico Mauro Mancini, che non ha mai smesso di ricordare con affetto.

Il praticante inesperto fu coinvolto per dabbenaggine (forse per dimostrare di essere degno di entrare nel gruppo dei “grandi”) in una partita a poker.  Perdeva senza scampo quel poco denaro che aveva portato con sé, cadendo in uno stato di scoramento che è esattamente ciò che non si deve fare quando si è intorno al tavolo da gioco. Ciccio al contrario fece di tutto per svuotare il portafogli dei suoi compagni.

Il giorno dopo si avvicinò al giovane collega che aveva trascorso una notte a darsi di bischero e gli disse: ecco il denaro che hai perso e ricordati di non cadere più in trappole come questa. Aveva cercato di vincere anche per aiutare il collega più giovane.

Foto: a sinistra Claudio Carabba con il regista Gianni Amelio

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