Il reato di clandestinità non verrà depenalizzato, almeno per il momento. E questo nonostante una parte maggioritaria del Parlamento sia favorevole, a cominciare da Matteo Renzi. A frenare è stato Angelino Alfano, leader dell’alleato di governo Ncd, che a quanto pare ha esplicitato il pensiero inconfessabile di molti anche a sinistra.
Vale la pena ricordare che questo reato è stato istituito nel 2009 proprio per volontà degli allora ministri Alfano (Giustizia) e Maroni (Interni). Doveva rappresentare un contrasto all’immigrazione clandestina, ma in cinque anni si è rivelato in tutta la sua inutilità. Per giunta dannosa, visto che oltre a non aver frenato arrivi e sbarchi ha intasato le procure – in testa Agrigento – di procedimenti lunghi e inconcludenti.
Alfano recentemente lo ha definito così: “Fu un tentativo di dissuasione, ma non funzionò”. Eppure “non è questo il momento opportuno per andare a modificare quel reato. La gente non capirebbe”. Come dire che sarebbe comunque giusto toglierlo di mezzo. Del resto, se non è illegittimo è inutile, non dà più sicurezza, non frena il fenomeno migratorio e non aiuta nell’individuazione dei responsabili del traffico di esseri umani. E a proclamarlo è proprio uno dei suoi ex promotori.
Si pone allora un problema di metodo: a cosa serve una politica che non può prendere nemmeno decisioni che ritiene sacrosante? E’ questo il punto. Una classe dirigente per sua stessa ammissione incapace di compiere scelte impopolari non è solo impotente. Alla lunga può diventare anche dannosa, in quanto costitutivamente populista. A dar retta sempre e comunque agli umori più retrivi dell’opinione pubblica, a non contraddirla per non rischiare di calare nei sondaggi non si farà mai nulla di utile. Mentre il compito della politica, ammesso che abbia ancora i mezzi per assolverlo, è risolvere i problemi. Sporcarsi le mani con la complessità della realtà, per garantire obiettivi (il citatissimo “bene comune”) sul medio – lungo termine. Anche a costo di scontare a breve il rischio dell’impopolarità, come capita ad Angela Merkel da quando ha avviato il programma di accoglienza dei profughi siriani.
Certo, “grida” e proclami sono più comodi e nell’immediato pagano. Ma una politica ridotta a ripetere i giudizi universali che legge sui social e a esaudire i desideri della gente – anche quando li ritiene sbagliati – è davvero un peso morto. Costoso, per di più.
Forse allora ha ragione Emma Bonino quando sostiene che “l’opinione pubblica non sarà mai pronta se non la si prepara, se non si affrontano con lei i problemi più spinosi. Ma per quello è necessario essere un leader”.