Città insicure: si diffonde la rabbia sociale, servono mediatori e servizi

Il presidente della Fondazione Caponnetto getta l’allarme

La sicurezza, problema chiave in particolare nelle grandi città e in particolare, ancora, nelle grandi città d’arte: Milano, Roma Firenze. Una classifica resa nota dal Sole24ore che non mancherà di fare discutere. Un terzo posto, quello del capoluogo toscano, che non stupisce molto i residenti, vista la raffica di episodi che vanno da molestie a rapine, che si sono contati negli ultimi tempi nella città del giglio, culminati con l’aggressione del novantunenne ridotto in coma da una senza fissa dimora che pure sembra conoscesse di vista. Senza contare l’ulteriore tema entrato nel dibattito con forza, in conseguenza all’episodio di Viareggio in cui la vittima della rapina ha investito il suo aggressore con l’auto uccidendolo, ovvero la diffusa rabbia collettiva che questa insicurezza percepita scatena, sdoganando l’irrazionale desiderio di farsi giustizia da sé. Sulla questione abbiamo raggiunto il presidente della Fondazione Caponnetto, Salvatore Calleri, che ha condiviso alcune riflessioni.

Salvatore Calleri

La percentuale dei reati “di strada”, aggressioni, rapine, molestie, si stanno alzando in particolare nelle città che hanno anche un alto indice di turistificazione. Firenze è un esempio classico: città d’arte, tanti turisti e innalzamento dei reati, tanto da finire al terzo posto nella classifica dopo Roma e Milano. Che ne pensa?

Non sono per nulla stupito di ciò anche se da analista le classifiche sono utili ma vanno sempre interpretate. Ma se in un periodo in cui vige la legge Cartabia, che ha reso obbligatoria la denuncia per alcuni reati in cui prima si procedeva d’ufficio, aumentano i reati denunciati ciò significa una sola cosa: la situazione delle città italiane è grave davvero.Il caso Firenze è poi particolarmente significativo in quanto, come Fondazione Caponnetto, abbiamo seguito passo passo l’innalzarsi del livello del problema in una città che è al tempo stesso, ex isola felice, città ricca di tesori artistici con il conseguente flusso turistico illimitato che rende la città sovraccarica e quindi fragile, poco abituata alla violenza che si consuma in strada quasi senza motivo. Mi dispiace dirlo ma le analisi e le considerazioni da me fatte con la Fondazione Caponnetto sono state tutte azzeccate. Il problema ora, a Firenze ma anche nelle altre città italiane, è: cosa fare? Tenendo conto della diversità anche spaziale fra Roma Milano e Firenze (il che non fa che rendere ancora più grave la situazione fiorentina) , alcuni passi sono tuttavia indispensabili ovunque, fra cui acquisire una visione complessiva della sicurezza urbana coerente e ad ampio raggio, evitando interventi tampone che non sono affatto utili. Fra gli elementi capaci di ricomporre una visione ad ampio raggio, quello della prevenzione (“lotta al crimine del giorno prima e non del giorno dopo”) che si fa, fra le altre cose, riacquisendo la gestione della notte”.

Si riferisce a un intervento fisico repressivo o sociale?

“Quando parlo di visione complessiva della sicurezza mi riferisco ad entrambi gli aspetti. Inutile e contro producente investire solo su un lato o solo sull’altro: la repressione senza l’attività di mediatori, formatori, servizi sociali diventa una pura conta di rei che vengono stoccati dentro a carceri che, come minimo servizio, mettono i giovani dilettanti del crimine a “scuola” da insegnanti già maturi, senza considerare che le condizioni delle strutture che rendono impossibile resistervi senza l’aiuto farmacologico, diffusissimo e richiestissimo. D’altro canto, l’aiuto sociale senza chiamate in causa di responsabilità diventerebbe solo un incentivo per coloro che compiono reati , a ritenersi impuniti e impunibili e dunque a reiterare senza freni il comportamento aggressivo. Le soluzioni vanno dunque portate avanti insieme, in coordinamento, cosa che può fare solo una squadra, che conosca al suo interno professionalità differenziate e coerenti a un unico obiettivo, ovvero sconfiggere culturalmente, socialmente e economicamente i comportamenti criminali e violenti che spesso coinvolgono vere e proprie bande e con le quali bisogna avere tolleranza zero”

In tutto ciò, entra in modo deflagrante l’episodio avvenuto sempre in Toscana, precisamente a Viareggio, in cui un’imprenditrice rapinata in auto (l’aggressore avrebbe aperto la portiera dell’auto minacciandola e rubandole la borsa) ha seguito e investito l’aggressore uccidendolo. Che significato assume questa vicenda, secondo lei?

“Premetto che la giustizia fai da te è sempre da condannare. Fatta questa doverosa premessa, se lo Stato non controlla il territorio e si arriva all’esasperazione dei cittadini e allo scoppio della rabbia, dal momento che in determinate isole felici (Viareggio è una di queste) la recrudescenza della criminalità è evidente e quotidiana, non ci si meravigli se avvengono determinati episodi. Purtroppo, fra le ex isole felici ci sono tante realtà del centro Italia, fra cui quasi tutta la Toscana, come emerge anche dalla classifica pubblicata dai quotidiani, dove Livorno, ad esempio, è al decimo posto”.

Qualche riflessione sul nuovo DDL Sicurezza in esame in Parlamento?

“Prima, preferisco attendere e studiare le norme approvate per capire esattamente come si muove il legislatore. Tuttavia, alcune riflessioni generali si possono fare: ad esempio sulla necessità, che ritengo stringente, di modificare la legge Cartabia nella parte in cui rende troppo complicato l’intervento delle forze dell’ordine; in secondo luogo, mancano le cosiddette strutture intermedie. Questo al momento ancora non è stato fatto. Con questo, non intendo i Cpr, ma le strutture che riguardano quel gruppo di persone che è meglio non stiano in carcere ma neppure libere. Mi riferisco agli autori di piccoli reati, magari legati al mondo degli stupefacenti, border-line, che nella permanenza in carcere sviluppano conoscenze o vengono a contatto con comportamenti che ne “perfezionano” la scelta criminale. Mancano strutture intermedie “semicarcerarie, se vogliamo chiamarle così, che mettono insieme la valenza punitiva con quella rieducativa. Di questo ce n’è un estremo bisogno, dal nostro punto di vista. Si pensi, in primis alla vilenza giovanile. Ancora, serve una cosa banale: che le pene vengano eseguite. Fermo restando il fatto che i luoghi di esecuzione della pena, devono essere rispettosi dei diritti umani, ma lo do per scontato, tutti i carceri italiani sono dei buchi neri. Sono dell’opinione che a volte sia meglio costruirne nuovi, in regola con le normative. Concludo però dicendo che bisogna pensare di più alle vittime del reato che oggi si sentono sole ed abbandonate.”

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