Firenze – Una palestra dove si entra e si avverte serenità e adrenalina. Serenità perché la tenuta bianca degli schermidori, il silenzio sussurrato rotto solo dal rumore dei ferri, e a tratti dai richiami dei maestri e dalle urla (e magari qualche parolaccia dal sen fuggita) degli atleti, oltre alla stessa micidiale e felina danza della sherma, induce alla concentrazione, all’assopimento dei pensieri quotidiani; adrenalina perché dal controllo degli atleti, dal dispiegarsi dell’arte, dall’attenzione generale e dalla presenza stessa dei ferri scaturisce la sensazione dell’attacco, del confronto, del duello, della vittoria e della sconfitta. Sensazioni che pur essendo proprie della scherma, nella palestra di via del Mezzetta a Firenze, sede del Circolo Scherma Polisportiva Attraverso, si rafforzano ed emergono con più impatto forse per la presenza, fra gli altri, di atleti non vedenti. O forse dal principio che regna sovrano dall’ingresso in sala: la scherma rende tutti uguali. Un concetto che abbisogna di qualche precisazione che avverrà nel corso di questo memorabile “viaggio”.
Le prime indicazioni, quelle tecniche che danno il senso dell’impegno richiesto agli atleti non vedenti, le dà Elena Cazzato, uno dei maestri di scherma che si occupano della formazione e allenamento degli atleti, degna figlia di una stirpe di maestri (https://www.stamptoscana.it/da-padri-a-figli-e-nipoti-dal-maestro-paolo-cazzato-una-dinastia-per-la-scherma/), fra i fondatori del Circolo, indicando la linea di metallo che viene stesa al centro della pedana dove si disputa l’incontro e spiegando le regole, che hanno davvero poche modifiche rispetto a quelle della scherma olimpica: agli atleti non è permesso distaccarsi se non per pochi istanti dalla “guida” e il colpo, per essere portato a segno validamente, dev’essere preceduto dall’incrocio dei ferri. Inoltre, i maestri accompagnatori forniscono indicazioni all’atleta per quanto riguarda l’avversario che sta per incontrare (altezza, mano armata e così via) prima dell’assalto, e dispongono di appositi timeout per ulteriori comunicazioni. Durante l’incontro è richiesto il silenzio assoluto da parte di tutti. Davvero poca cosa, tant’è vero che in palestra, come spiega la stessa Elena, si svolgono anche incontri misti, in cui gli atleti normodotati vengono bendati. La specialità praticata è quella della spada, il bersaglio valido è tutto il corpo.
La storia dell’estensione della scherma anche ai non vedenti e della nascita del Circolo Atraverso, la si apprende dalle labbra del maestro Alberto Bruni, uno dei primi in Italia a occuparsi di questo allargamento della tecnica schermistica. “La scherma per non vedenti, così come la conosciamo e come è praticata ad ora, nasce nel 2011, grazie a un’intuizione occorsa al Maestro Giancarlo Puglisi di Modica e alla Maestra Marta Melandri, di Bologna. Insieme, hanno stilato un regolamento, modificato nel tempo più di una volta, renendolo ancora più accessibile e mgliorandolo via via che le attività cominciavano a crescere”.
Le gare si svolgono sia nel settore maschile che femminile. “Quanto ai numeri – prosegue il maestro Bruni – nelle prime gare promozionali, partecipavano in 10. Ora sono arrivati a essere una ventina. Ciò significa un raddoppio nell’arco di pochissimi anni, per quanto riguarda i ragazzi che fanno attività agonistica. Come movimento italiano, siamo intorno alle 60-70 persone. Il dato degli atleti agonistici può sembrare basso, ma è invece un segnale, in un settore come quello paralimpico che purtroppo ha un bassissimo numero di partecipanti e adesioni, da un altro di ottima riuscita e dall’altro di vitalità, curiosità e interesse”.
Il Circolo Scherma di via del Mezzetta nasce nel 2016. I maestri Bruni e Cazzato, dopo esperienze diverse in altre società sempre come istruttori e maestri di scherma, si ritrovano e decidono di fondare la nuova associazione con una visione non solo rivolta alla scherma, ma anche, in un certo senso, alla vita. “Questi ragazzi si confrontano come atleti, non come diversamente abili. Le attività sono svolte a pieno regime senza nessuna distinzione – continua Bruni – i ragazzi fanno gli assalti tutti insieme. Insieme sia nella preparazione che nello spogliatoio, dove si esplica la parte di aggregazione, sociale, dello sport. Siamo ancora qua, nonostante la botta terrificante della pandemia, nonostante siamo una società molto piccola”.
Trentaquattro circa i praticanti, di tutte le età, dai bambini di otto anni al più adulto, che è un atleta non vedente di 83 anni. Piccola società, ma grandi soddisfazioni. Pochi giorni fa infatti, il primo giugno a Verona, ai Campionati italiani non vedenti, due atleti, Lorenzo Ballini (55 anni) e Alessandro Ceccarelli (53 anni), entrambi della piccola società, si sono piazzati sul podio, secondo e terzo posto. Non solo. Nella squadra anche Giulio, 16 anni, studente, una delle speranze del Circolo. Che tuttavia vede anche altri giovani promettenti, che non vedono l’ora di misurarsi con le competizioni Nazionali, come Lorenzo e Mattia, 17 e 14 anni, normodotati, brillanti virgulti dalla stoffa di veri campioni.
I risultati sono importanti e imprescindibili, specialmente in uno sport dove la “partita” è chiamata “l’assalto”, in cui quando si combatte si è soli davanti all’avversario, padroni solo del proprio ferro, del proprio corpo e del proprio cuore. Cuore secondo l’accezione francese o meglio ancora giapponese, che significa a un tempo coraggio, concentrazione mentale e nervi saldi. Ma non sono solo le medaglie a valere, come si legge nella stessa “mission” del Circolo e ribadiscono i maestri, dal momento che quest’arte è un combattimento che si esercita verso se stessi in primis, come dicono le parole preziose di Lorenzo, uno dei giovanissimi della scuola: “Quando sei giù non combatti bene”. Uno sport che porta a diventare parte del gruppo nello sviluppo di se stessi.
Sono le storie degli atleti, le loro parole, a mettere in evidenza il valore dell’arte e il particolare approccio della scuola, che consente, pur essendo piccola, i risultati. “Ho conosciuto la scherma per non vedenti attraverso un amico e collega, anch’egli nelle mie condizioni – racconta Lorenzo Ballini – ci siamo consociuti attraverso il lavoro di centralinista per la pubblica amministrazione, ed è stato lui a informarmi. Alla fine, parla parla, ho deciso di provare. Danilo, questo è il suo nome, fu uno dei primi a praticare questa disciplina e mi chiese se volevo provare. In quei tempi, praticavo un po’ di nuoto libero in piscina, e cercavo uno sport da praticare con un più continuità. La scherma è uno sport che mi è sempre piaciuto (Lorenzo ha perso la vista nel corso degli anni, non è un non vedente dalla nascita, ndr), e quindi mi ha incuriosito. All’iniziio pensavo non fosse possibile, ma pensavo che mi potesse essere molto utile, dal momento che, non essendo non vedente dalla nascita, ritenevo mi potesse essere utile per migliorare la percezione, dovendo seguire la striscia e rendermi conto della distanza dell’avversario, ad esempio. Devo dire che mi ha appassionato dall’inizio. L’uno contro uno, frontale, fa effettivamente scattare un meccanismo di adrenalina e di competizione. Ho cominciato nel 2015 e sono arrivati subito i risultati: nella prima gara, nazionale, ho vinto subito, l’anno dopo ho rivinto. Poi, problemi di salute mi hanno costretto per un paio d’anni a praticare a correnti alternate anno scorso ripresi, ma la pandemia mi ha di nuovo bloccato”. il ritorno in pista però è stato coronato dal successo di una settimana fa. “Non ci siamo allenati tanto, anche perché, dati i miei problemi di salute, avevo interrotto fino alla vaccinazione. Dalla metà di aprile ho ricominciato, e con Alessandro abbiamo deciso in extremis di gareggiare ai Campionati italiani”. Il risultato e il divertimento: “Le trasferte sono occasioni per stare in gruppo – conclude Lorenzo Ballini – con gli altri atleti non vedenti ormai ci conosciamo, è un piacere rincontrarsi”. L’obiettivo, a parte le vittorie sportive, è quello, comune a tutto il movimento, è quello di fare diventare la scherma sport paralimpico. “non per noi, che per ragioni d’età non potremo partecipare – conclude Ballini – ma per i ragazzi giovani, per Giulio che ha 16 anni, per Valerio che ne ha venti, per tutti i ragazzi che in giro per l’Italia praticano a questo sport. Si spera che fra uno o due corsi olimpici ciò divenga realtà”. Ad ora, solo lascherma in carrozzina è riconosciuta nelle categorie degli sport paralimpici.
“E’ da otto anni che pratico scherma – dice Lorenzo, giovanissimo atleta (17 anni) normodotato – da tre pratico spada. Fin da piccino, adoravo quando c’erano cavalieri e duelli,alla tv o al cinema o nei racconti. Ho cominciato col fioretto, poi sono passato alla spada che è più affine alle mie caratteristiche. Sto cercando di fare buoni risultati. Fin a qualche anno fa si facevano direttamente le Nazionali, ora è necessario qualificarsi”. Il 27 giugno ci sono le qualificazioni e Lorenzo, come Mattia, 14 anni, praticante da quando aveva sei anni, anche lui spada, sono concentrati sul risultato: i primi 30 qualificati accederanno alle Nazionali. L’entusiasmo è grande, la voglia di farcela pure. “Da piccolo ho avuto un’operazione al cuore, e non potevo praticare sport troppo “pesanti” – racconta Mattia – Ho praticato nuoto fino all’agonismo, poi ho lasciato, e mi sono scelto la scherma”. Il rapporto col Maestro, in questo caso Alberto Bruni, è molto importante per i ragazzi. Ma la scherma, la possono praticare veramente tutti? “non è uno sport per tutti – dice Lorenzo – è uno psort particolare. Se uno non lo sente dentro, non s’appassiona, rischia di non capirlo fino in fondo e lascia”. “Diciamo che serve molta testa per questo sport – interviene Mattia – è uno sport in cui serve la testa”. Se sei giù di morale, non tiri. “Devi trovare l’obiettivo che ti porta a tirare – dicono i ragazzi – l’approccio cambia anche a seconda del fisico, puoi essere più pesante o magari piccolo e scattante, ma non c’è un “modo” giusto o migliore”. Regole precise ma libertà nel combattimento, testa e cuore che vanno oltre l’aspetto fisico.
L’ultima tappa di questo viaggio è la storia di Giulio, che ha 16 anni appena compiuti, ha cominciato fra gli 8 e i 9 anni, frequenta il liceo classico musicale Dante. Giulio, che è considerato la “speranza” del Circolo per il futuro, potrebbe essere l’atleta che accederà ai Giochi Paralimpici, se questa disciplina, come si spera a buona ragione, verrà riconosciuta. “Il motivo per cui ho cominciato? Principalmente perché non ci sono molti sport per i non vedenti. Era un periodo difficile, perché avevo appena perso la vista completamente. Mia madre me ne ha parlato, abbiamo provato e sono rimasto. La bellezza dello sport è indiscutibile. Il mio obiettivo, quando vengo in palestra ad allenarmi, è, più che fare buon punteggio, tirare in modo soddisfacente, fare le giuste mosse e tenere la giusta postura. Indipendentemente dal fatto che faccia tre assalti vinti o tre assalti persi, l’importante è capire come li ho vinti e come li ho persi”. Ma l’imortante è capire quanto incide quest’arte nella propria vita. “Intanto, è senz’altro una valvola di sfogo – risponde Giulio – se magari ho avuto una giornata difficile a scuola, o ho avuto problemi di qualsiasi tipo, devo lasciare la presa sui problemi e concentrarmi. In secondo luogo, c’è l’elemento dell’adrenalina, del mettersi in gioco, dell’affrontare l’avversario in modo amichevole e sportivo”. Risultati, sì, ci sono stati, ma ora Giulio ha l’intenzione di spingere sull’acceleratore su questo fronte. Perché la vittoria è sempre tripla: su di se’, sull’avversario, e per il gruppo. Come nella vita.