Firenze – In un tempo di grande smarrimento delle bussole valoriali, il socialismo può riservare energie, idee, alternative che possano essere di stimolo per nuove partenze? Di fatto, è questa la domanda che sorge inevitabile a valle del dibattito che lunedì scorso 21 marzo si è tenuto presso la sede della Fondazione Fratelli Rosselli in occasione della presentazione di tre pubblicazioni, raccolte nel titolo delll’evento, “Sulla storia del socialismo”, che riguardano il Quaderno n.4/2021 del Circolo Rosselli, “Un socialismo possibile. Riccardo Lombardi a 120 anni dalla nascita”, a cura di Bruno Becchi, con la presenza dell’ex sindaco di Pistoia Samuele Bertinelli, il libro “Giuseppe Di Vagno martire socialista di Fulvio Colucci, edizioni Radici future che ha visto la presenza dell’autore, e la pubblicazione “Sinistra per l’alternativa. Storia di una corrente del Psi”, di Andrea Ricciardi per i tipi di Biblion, che ha visto la presenza di Michele Achilli.
Il dibattito, presieduto da Ariane Landuyt, ha visto l’introduzione e le conclusioni di Valdo Spini, presidente della Fondazione, che ha evidenziato l’importanza di rimettere a fuoco un periodo della storia del partito socialista che vide maturare un pensiero complesso e ancora in grado di parlare al futuro come quello lombardiano; tanto più che la situazione internazionale conduce a un inevitabile parallelo storico. Dalla crisi dell’energia a quella, finora prospettata, alimentare, sarà necessario intervenire, dice il presidente Spini, “con cambiamenti strutturali che implicheranno fra le altre cose, un forte intervento del governo, onde scongiurare il prevalere della logica del più forte”. Tutto ciò avrebbe un impatto sociale pesantissimo. La grande sfida e proposta, affrontare la situazione complessa odierna con “un’impostazione che non sta a guardare il mercato, ma che preveda forti riforme strutturali, in particolare nella situazione italiana, credo che sia una proposta d’attualità. Verrà definita socialista? Non si sa. Il problema è di identità, al di là del nome: un’identità che sollevi nuovamente una partecipazione e che possa trovare consenso. Il tema dell’identità delle forze politiche è stato clamorosamente sorpassato” e proprio il tema dell’identità, del bagaglio valoriale è uno dei grandi pilastri del pensiero lombardiano. A 120 anni dalla nascita di Riccardo Lombardi infatti la sua parabola esistenziale, sociale e politica, al centro della serata, è stata analizzata nei suoi tratti più profetici, in un certo senso, capaci di fare da ponte e ripartenza per una nuova riflessione della sinistra ormai “senza bussola”.
“La ricorrenza del 120esimo anniversario della nascita di Carlo Lombardi – ricorda Bruno Becchi, che ha curato il Quaderno che contiene 4 saggi dedicati al politico, di pugno dello stesso Becchi, Tommaso Nencioni, Stefano Caretti e Valdo Spini – è stata l’occasione per riflettere su una figura politica di primo piano che ha percorso circa un sessantennio della vita politica del nostro paese”. Dai suoi esordi nella sinistra cattolica fino alla morte, avvenuta nel 1984. Ciò che emerge, è l’originalità del contributo di Lombardi, che davvero, dice Becchi, si pone controcorrente. “La sensazione è che spesso Lombardi abbia precorso i tempi – dice Becchi – e questo l’ha condannato a una posizione spesso minoritaria. Lombardi è fautore di una politica autonomistica, sia dal punto di vista internazionale, rispetto alla quale si è collocato sempre al di fuori dei blocchi, sia dal punto di vista nazionale, quando è stato contrario al Fronte Popolare e alla presentazione di liste uniche col Partito comunista. Paradossalmente coerente, Lombardi è stato fautore dell’incontro fra il Psi e la Dc, non nel ruolo di stampella di garanzia al permanere al potere della Dc, ma come motore di cambiamento verso una società più giusta”.
Parlare di Lombardi come di un utopista, costruttore di teorie a tavolino, è fargli un grandissimo torto, dal momento che il suo stesso substrato formativo di studi economici lo mettevano in contatto con la realtà in cui collocava le sue strategie. “La realtà concreta è sempre stata il punto di partenza della strategia politica di Lombardi”, continua Becchi. Una concretezza che si riassume nel concetto di “socialismo rivoluzionario”, ossimoro per rappresentare lo sforzo di dare al centrosninistra una forte connotazione riformista, convinto di potere cambiare la macchina della politica dall’interno, verso la società più giusta che era il suo scopo. Interessante anche la grande importanza che Lombardi dà alle regioni e al sindacato. “Un sindacato però che concepiva sciolto dalla mera politica salariale”. Tutti punti che riconducono alla sua particolare storia politica, come ricordato, nel suo intervento, da Samuele Bertinelli che lo porta, partendo dal passato azionista alla confluenza nel Psi, a “incarnare la figura del socialista liberale come nessun altro nella storia italiana”.
Un atteggiamento che è stato ripagato da un continuo e mai venuto meno favore popolare, da lui contraccambiato in qualche modo nella convinzione della centralità della classe operaia, del movimento dei lavoratori, in assenza della quale “non poteva darsi socialismo”, come ricorda Bertinelli. Un atteggiamento che tuttavia non giunse mai alla mitizzazione della classe operaia, “lontano com’è sempre stato da ogni forma di demagogia e populismo”. La figura di Lombardi, che dava alla competizione col capitalismo un connotato qualitativo più che quantitativo, è forse “la forma più alta del tentativo di immettere nel capitalismo forme di socialismo”. Un atteggiamento che nasce anche dalle sue profonde radici cristiane, che lo portano all’attenzione alla persona, alla società slegata dal mercato, al tentativo di liberare persone e società impedendo l’avvento della società-mercato, collegandosi in questa sua idea alle grandi correnti cristiano socialiste europee. In questo senso, Bertinelli sottolinea la coerenza dell’ultimo Lombardi che torna a riflettere su forme autogestionali della società, fuori dalla idolatria dello stato, riconnettendosi “alle matrici culturali più feconde di Giustizia e Libertà, che sempre pensò al tema dell’autonomia come decisivo per l’emancipazione, per la liberazione individuale e collettiva”.
Questo il carattere più originale di Riccardo Lombardi. “Fu sempre un’Azionista – continua Bertinelli – la sua scomodità, il suo essere di minoranza è legato alla scelta di appartenenza a Giustizia e Libertà, come sappiamo un’eresia, sia del socialismo che del liberalismo”.
Fra le caratteristiche di Lombardi, sottolineate anche quelle dell’integrità morale, che lo resero caro sia alla base che ai giovani. Coerenza intellettuale, ricerca curiosa del nuovo. “Questo lo mise sempre in rapporto con i fermenti della società e in particolare delle nuove generazioni, uno dei pochi, in tutta la sinistra storica, che seppe interloquire con intelligenza con i movimenti studenteschi della fine degli anni ’60”.
La sua lucidità gli permise di cominciare ad elaborare la prospettiva dell’alternativa di sinistra “prendendo atto della fine della stagione più feconda del riformismo dell’Italia Repubblicana, ovvero la stagione del primo centrosinistra, di cui egli fu artefice e anima, finita con l’impossibilità di procedere con la legge di riforma dei suoli, la cosiddetta legge urbanistica, a causa di quella spessa coltre reazionaria della società italiana di cui parlava già Antonio Gramsci”,
“Alternativa che cercò di costruire in anni in cui era scomodissimo farlo – continua Bertinelli – per un uomo che si collocava alla sinistra del partito socialista ma aveva una posizione rigorosamente autonoma rispetto al partito comunista. Anche questo, un unicum nella storia del socialismo italiano”. Infatti, la sinistra di Lombardi era così diversa e autonoma dalle altre correnti di sinistra che si crearono nel Psi, da potere definirsi unicamente “sinistra lombardiana”.
Le caratteristiche del suo pensiero, “dialogo a sinistra, ma da posizioni autonome, sguardo curioso sulle sorti del capitalismo nel mondo per la costruzione del socialismo a livello anche internazionale, ma fuori dalla logica dei blocchi, neutralità che non era benevolenza verso il campo occidentale, ma era disponibilità positiva verso la costruzione dell’Unione Europea, a partire dal Mercato Comune europeo; costruzione tenace delle prospettive di pace e di disarmo”, tante idee nuove, originali e forti. “Non vide la fine della Prima Repubblica, ma indicò una strada, che era la strada di una prospettiva per una nuova sinistra, dicendo che non sarebbe stata automatica la sconfitta del comunismo in Italia con la sconfitta del comunismo internazionale”. A conti fatti, una sistemazione organica del pensiero di Lombardi, compiuta con i 4 saggi che costituiscono il nucleo del Quaderno a lui dedicato, che meriterebbe, conclude Bertinelli “davvero di essere ridiscussa oltre le commemorazioni e le celebrazioni”. Si tratta di una figura che ha ancora la forza di parlare al presente, “come i grandi classici che non smettono mai di dire quanto hanno da dire”. Un approccio non agiografico o incensatorio, ma “critico, che mette in luce una figura vivissima anche perché capace di misurarsi con le contraddizioni”. Bertinelli lancia un appello: trovare l’occasione, a partire da questo densissimo Quaderno, di compiere una riflessione critica più complessiva della figura di Lombardi, per provare a vedere se, “con orientamenti anche diversi, nella sinistra italiana, in un tempo di grande smarrimento delle bussole valoriali, riproporre una lettura attenta dell’intera parabola esistenziale storica e politica di Riccardo Lombardi, non possa riaprire qualche prospettiva di nuova elaborazione teorica nella sinistra”.
Torna sulla rilevanza delle correnti della sinistra all’interno del Psi, uno dei grandi protagonisti di quella stagione, Michele Achilli, che riprende il tema di Sinistra alternativa. Corrente che, dice Achilli, era lombardiana. “Fu Lombardi a cambiare idea, o gli fu fatto cambiare idea”. Il tentativo era quello di ispirarsi alle vicende francesi, con Mitterand, e interloquire con il Pci, che in Italia, a metà degli anni ’70, era sicuramente preminente. “Proponevamo al partito una strada diversa – ricorda Achilli – che non elaborava nuove ideologie, ma prendeva dal contesto internazionale una serie di stimoli per fare anche in Italia ciò che si stava costrunedo da altre parti. La vicenda è durata finché dentro al partito continuò ad esserci lo spazio per una interlocuzione democratica”. Di fatto, con la rinuncia del Psi ad alcune sue battaglie, si arrivò, nello spazio fra il 1976 e il 1984, alla “perdita dell’identità del partito socialista”, fino alla proposta finale di Bettino Craxi del governo col CAF, ovvero il patto Craxi, Andreotti e Forlani. Tirando le fila, sulla base del libro che appunto titola “Sinistra per l’alternativa. Storia di una corrente del Psi”, che raccoglie anche testimonianze di coloro che all’epoca sostennero e fecero parte della corrente, Achilli si fa e fa la fatidica domanda: cui prodest? “Dopo tutto ciò che è avvenuto, è difficile dire che abbiamo influito sulle vicende del partito – dice Achilli – se dovessimo fare un bilancio dei successi, direi che è estremamente scarso. Tuttavia, all’interno della dialettica del partito, abbiamo organizzato 5 convegni nazionali, abbiamo fatto crescere un pezzettino della classe politica di quel partito”. Quando si pensa che, nel mondo politico italiano, “non esiste più la Sinistra, bene, forse la Sinistra va ricostruita. E quando dico che non esiste più la sinistra, lo intendo in termini veri: non esiste più un partito di sinistra – conclude Achilli – ma nelle nuove generazioni ci sarà qualcuno che guarda ancora a questi ideali”.