Non c’è aria di rivoluzione . Non si urla mai. Né si gesticola. E neppur si può parlare di una nouvelle vague italiana. Ma la sensazione è di aver visto qualcosa di prezioso e la voglia che si possa replicare. Ha vinto nel 2023 il David di Donatello e il Nastro d’Argento, come miglior film esordiente e per la migliore attrice (Barbara Ronchi). Siamo di fronte a una regista con un suo piglio autoriale non banale, di altro passo e progettualità rispetto al “cinema di papà” e dei buoni sentimenti ? Lo vedremo in futuro.
Qualcuno ha già detto “è il cinema che amiamo”. Ma troppe volte è stato detto. Invano. A sproposito. Perché “il cinema che si fa amare” ha poi varie anime e non coltiva un genere solo. Infatti Settembre è un ibrido, ma è originale anche in questo suo essere dramedy. Questo film sembra una scommessa incredibile a cominciare dall’ambientazione. Cosa c’è di più anonimo che girare tutte le scene a Fiumicino e dintorni? Pure nella scena sulla spiaggia di giorno? Cosa c’è di meno stimolante in quell’immensa periferia del litorale romano? Eppure ne usciamo emozionati.
In campo 4 personaggi su sette di questo film corale sono esordienti, due giovani e due adolescenti; e soprattutto i sentimenti non sono quelli stile Disney, né amour fou alla francese: sono sporcati, spiegazzati si presentano nella loro inadeguatezza, anzi non hanno nemmeno coscienza di sé, tanto che il film potrebbe essere definito anche un “affresco sulla educazione sentimentale” a Fiumicino. Italia. Periferia di Roma e periferia di tutte le nostre vite incasinate. Nel primo quarto degli anni duemila.
Sono tutti inadeguati, sconfitti, anche i più giovani non sanno letteralmente da dove cominciare, e non hanno neppure la sensualità e i palpiti dei loro coetanei finora narrati al cinema o nei romanzi.
Giulia Louise Steigerwalt, 41 enne, già attrice 17enne con il primo Muccino ( Come te nessuno mai, L’ultimo bacio) nella sua prima regia sceglie tutta un’altra strada per indagare sui sentimenti, nessuno qui urla, gesticola, si strappa i capelli, il tappeto musicale non imperversa martellante, ma, quando c’è, accompagna discretamente e con gusto (Velvet Underground e Bob Dylan). Nessuna ruffianeria nel presentarci i sette, nessun brivido erotico , né sensuale. Ci si squadernano intanto magnetici gli occhi celesti, luminosi, commoventi di Barbara Ronchi in cui annegare, ma non sai dove e quando. E’ stupefacente come questo donnino aggraziato riesca solo con lo sguardo, lievi espressioni e delicati movimenti, a passare impercettibilmente dalla tristezza al brillio della gioia, dalla prostrazione alla scintilla di un entusiasmo infantile , mai sopito.
Omaggio a Bellocchio che l’ha scoperta e valorizzata in Fai bei sogni : era la madre-bambina compagna di giochi del suo bambino , cui narrava “bei sogni” e che piangeva solo di nascosto perché lo avrebbe lasciato di li a poco, per un male inesorabile e veloce. E complice con Barbara , d’un amore al femminile come due Thelma e Louise non disperate sul ciglio del burrone, ma piene di riscoperte e di tanta voglia di vivere, Steigerwalt sceglie benissimo in Thoni un’altra rivelazione , questa di Virzì , Tutti i santi giorni ) : cantautrice raffinata e attrice naturale; c’è sempre una sicilianitude giovane e fresca che emerge in queste donne , come in Carmen Consoli, Miriam Leone, Isabella Ragonese, Valeria Solarino, Giulia Michelini, Nicole Grimaudo, Levante, tutte con un pizzico di sana follia, materna e trasgressiva assieme, dove il temperamento del genius loci, superato il gap col nord, si fa anche consapevolezza di sé e in questi anni duemila esprime un nuovo tipo di donna , capace di osare anche oltre modelli ben consolidati.
Eppoi c’è Bentivoglio, che fa Bentivoglio. Ma qui è perfetto con quell’aria desolata, di cane bastonato: in Ricordati di me (sempre Muccino) era lo scrittore triste che rinuncia al suo amore vero , ma scrive per lei il romanzo della vita: qui è un medico sessantenne, divorziato, e con vent’anni in più, sgualcito al punto giusto per calarsi ancor meglio nel ruolo. La bellezza del suo personaggio sta nella capacità di elaborare la sua inettitudine esistenziale e di marito che non ha mai veramente amato sua moglie, mettendosi a nudo nel rapporto più improbabile (o forse per alcuni più facile?), con Ama, una giovane prostituta dell’Est Europa , ma con cui poi assume da cliente costante, a poco a poco un ruolo paterno e generoso che aiuterà Ama, a liberarsi da quella vita.
E appunto c’è Ama (Teresa Litvan) nell’auto di lui le varie sere, che sulle gote e negli occhi lucidi, mostra -malgrado la vita che fa – un rossore virginale e un impacciarsi goffo del personaggio che vede la sua prima giornata di mare, e finalmente ride spensierata, col panettiere che la corteggia lieve e la sua compagnia di amici. E siamo con lei quando in auto del ragazzo, sincera e senza speranza , gli confida il mestiere che fa. E siamo anche con lui Enrico Borriello) nella gamma di turbamenti repentini che gli attraversano lo sguardo, e silente, senza condanna, la lascia scendere dall’auto. L’aspetterà.
E poi ci sono i due giovanissimi esordienti Luca Nozzoli e Margherita Rebeggiani. Anch’essi perfetti nella loro imperfezione. Luca bofonchia e recita compito la parte che si è assunto, quella del ruffiano-coach dei rudimenti sessuali per preparare la fanciulla all’incontro col di lui cugino da lei mitizzato. Ma si sente che gli sta stretta e tradisce in controluce il desiderio di essere lui il soggetto amoroso. Ma è timido, contratto , brusco, il suo sguardo è serioso , anche quando prende un rotolo di pellicola domopak per far da preservativo tra le sue labbra e quella di Margherita nella simulazione di un bacio. E poi nella spiegazione di un preservativo vero e proprio.
Margherita, coi suoi occhioni spalancati tra il timore e la sorpresa, è meravigliosa nell’assecondarlo. Da una parte ce la mette tutta per apprendere, ma ad ogni minimo contatto sussulta impaurita. Sussulta e non sa che forse è attratta da questo ragazzo-schermo-ruffiano e pulito, recalcitrante e sotto sotto tenero, non da quello che è il simulacro senza carne né sangue che dovrebbe incontrare. Tutto è apparentemente squallido, rozzo, diretto, terra terra, non si è mai visto al cinema la fenomenologia di un’iniziazione sessuale tra adolescenti con la stilizzazione così malamente ripetitiva e imbastardita dei gesti più elementari del contatto amoroso: come l’additare meccanico ai viaggiatori da parte delle hostess per i movimenti base in caso di pericolo.
Qui Steigerwalt rischia moltissimo, ma ottiene alla fine quello che voleva e aveva già scritto nelle scene e nella direzione dei due ragazzi, scelti con grande cura e motivati con rara sensibilità: lavorare per sottrazione di qualsiasi elemento sentimentalistico, e attraverso un antiromanticismo manifesto, far affiorare come una pepita ancora sporca di terra la bellezza di un barlume di amore giovanissimo, che non sa nemmeno stare in piedi. E viene da pensare che , senza avvertirlo, per eterogenesi dei fini, Luca inizi Margherita a quel modo maldestro perché in fondo non vuole affatto che lei incontri il cugino, e che senza volerlo si avvii a una lenta scoperta di essere il prescelto, mentre recalcitrante svolge il suo ruolo ingrato.
Steigerwalt dimostra che sa come si fa e cosa fare e come farlo diventare puro cinema. E rendere sempre credibile e significativa ogni scena e personaggio. Un cinema sommesso, ma ambizioso, emozionante ma non epico, che non rovista in ferri del mestiere già adusi. Colpisce anche una consapevolezza di non scoprire l’acqua calda, o di volere annunciare di aver fatto rivoluzioni nella settima arte.
E il suo percorso mostra una formazione graduale a quello che sta già facendo. Ed ha appena 41 anni. Siamo interessati a conoscere meglio il background, l’ambiente familiare e socio-culturale dove è maturata. Una laurea in filosofia alla Sapienza. La qualifica di sceneggiatrice professionista dopo studi impegnativi alla UCLA Di Los Angeles. E’ nata a Huston (USA) , è vissuta tra Stati Uniti e Italia, con doppio passaporto. Ma interessante è la linearità e serietà del suo percorso professionale.
Una ragazza bruna dai lineamenti delicati che inizia a 17 anni con Muccino come attrice. E per quindici anni continua come interprete e in lavori non banali. Poi la svolta di diventare 10 anni fa scrittrice di film, gli studi di perfezionamento in California e alcune sceneggiature sempre più focalizzate evidentemente alla ricerca di un suo personalissimo stile.
Con l’ultima sua sceneggiatura ( la terza con Simone Godano) Marylin ha gli occhi neri, 2021, siamo rimasti colpiti subito da una mano insolita nella narrazione e nella scelta dei personaggi. Non conoscevamo l’autore, ma avvertivamo già il tocco di una donna, molto curiosa e coraggiosa nell’immaginare e scrivere storie stralunate, di esistenze sopra le righe dove Accorsi ( forse un po’ troppo caricato? ) e Miriam Leone, altra siciliana nuova e di temperamento, folle e maternale assieme, si muovono all’interno di una tipologia di disagiati psichici che non rimangono solo macchiette, cucite anche qui da un medico, psichiatra, Thomas Trabacci, che mette infine a nudo come il suo essere empatico, ma sapiente con loro , derivi da un’ esperienza di disagio comune. Insomma si vede che già Giulia Louise stava mettendo a punto un suo stile, una sua voce, e un suo territorio d’elezione, e ora è entrata in mare aperto. L’aspettiamo con tanta simpatia e ammirazione perché comunque la sua è una bella storia e a 41 anni si può iniziare dopo Settembre tante bellissime stagioni da scrivere per farci ancora coinvolgere.