Un mese fa la morte di Silvio Berlusconi, come succede in questi casi, ha oscurato la scomparsa di due presenze del cinema (una internazionale , una italiana) succedutesi a tre giorni una dall’altra. Li rammentiamo con frammenti di ricordi, anche per un incontro personale, casuale ma significativo, nel caso di Francesco Nuti.
GLENDA JACKSON ( Birkenhead , 9 maggio 1936 – Londra, 15 giugno 2023)
È stata per la generazione che si avvicinava al cinema negli anni settanta una straordinaria icona , carismatica e affascinante. Quel taglio stupefacente di occhi verdi-azzurri cangianti, più magiari che anglosassoni, degli zigomi inarrivabili per la chirurgia plastica , come pure la perfezione delle labbra al naturale, nell’insieme rimandava subito a un tipo di donna che non si era mai vista prima nei canoni delle dive tra gli anni 30 e 60 . Anzi sembrava dirti che lei , col suo caschetto di capelli castani, era tutto fuorché una diva, solo e sempre orgogliosamente Glenda, come poi mostrò nei fatti nel corso di tutta la sua vita.
Emanava , oltre a una sensualità mai esibita fuori scena, una sensazione di energia e di sicurezza che con lei potevi trovare di tutto fuorché bamboleggiamenti; e che da quella bellissima bocca non sarebbero usciti che suoni dolcemente rochi e bassi. Era già stata a 30 anni, dopo eccelsa formazione nel teatro inglese, una grande Charlotte Corday in Marat-Sade di Peter Brook, poi in versione cinematografica. Ma nel nostro immaginario esplose due anni dopo con Donne in amore ,1969 e L’altra faccia dell’amore 1970 entrambi del genio visionario e spesso straripante di Ken Russel . Che fosse un’eroina anni venti delle campagne inglesi di Lawrence o la moglie insoddisfatta di Cajkovskij , la sua personalità e qualità emergevano incoercibilmente e la sua nudità era sempre di classe , anche se davanti aveva di fronte fior d’attori come Olivier Reed, Alan Bates, Michael Caine .
Era donna di passioni , che esprimeva tutte le passioni, ma con grande autocoscienza. Ebbe nel 1971 il primo Oscar. E non andò nemmeno a ritirarlo. Nel 1974 Melvin Frank in Un tocco di classe ne mise in luce anche la sua vena ironica e da commedia sofisticata con Richard Segal, ed ebbe il secondo Oscar. Ma nemmeno questa volta si degnò. Diceva che si vergognava di quella cerimonia e che spegneva sempre la tv. E ancora dopo evitò la nomination in cinquina nel 1976 per Domenica maledetta domenica che aveva come coprotagonista Peter Finch. Le sue donne erano sempre problematicamente femmine ma anche esseri pensanti e sfaccettati. A volte tradite , a volte traditrici (Una romantica donna inglese, Losey ), a volte contendenti al proprio marito un amante bisessuale (Domenica maledettamente domenica) o anche l’impotenza dell’amato ( L’altra faccia dell’amore). Ma ad ogni sua eroina recava sempre un’aura di riflessività e dignità . Poi negli anni ‘90 scelse l’ altra sua grande passione della maturità, la politica, ma non volle mai mischiarla con mestiere di cinema cui rinunciò, seppur ancora richiestissima.
Militò nelle file del partito laburista, frazione trotskista, e fu eletta a capo di un grande municipio della Londra metropolitana, e per un ventennio deputata e anche sottosegretaria ai trasporti. Poi, prima dei suoi 80 anni , decise che anche quell’esperienza era enaugh per la sua età. E tornò clamorosamente sulle scene a interpretare Re Lear a 75 anni per provare che a teatro anche una donna poteva rivestire i panni del celebre vegliardo shakespeariano. Fu grande. Tony Award. Come poi nel lavoro di Eduard Albee, Tre donne alte, 2019 che replicò per due stagioni anche a Broadway. Continuò a recitare in alcuni ruoli, seppur diradandoli . E’ morta un mese fa il 15 giugno a 87 anni orgogliosamente fieramente lucidamente, still Glenda.

FRANCESCO NUTI ( Prato 15 maggio 1957- Roma 12 giugno 2023)
L’accostamento con una fuoriclasse come Glenda Jackson potrebbe sembrare incongruo, ma possiamo alla fine dire che Francesco Nuti, alla luce delle sue 15 interpretazioni e 10 regie, si è ben ricavato un suo posto nel cinema italiano almeno di ottimo “poeta minore”. Perché dei toscani emersi dagli anni 80 ad oggi è stato quello “più poeta”. E per costanza in tale registro poetico anche rispetto a Benigni , maggior affabulatore e istrione, ad eccezione della scena finale ne ‘La vita è bella’. Alla sua morte, annunciata da tempo in una lunga inabilità progressivamente aggravatasi nell’ultimo quindicennio, le stampa gli ha riconosciuti meriti e originalità che prima non erano stati messi in luce. Pieraccioni, Benvenuti, Ceccherini, Panariello hanno lavorato su una comicità toscana più convenzionale, mentre Nuti aveva altre ambizioni di linguaggio cinematografico, e perseguiva una sua cifra stilistica; ed è stato anche rispetto a Troisi e Verdone il più melancomico dei tre. Nel 1994 con Occhio Pinocchio , ha provato le sue Colonne d’Ercole, affondando in un’ impresa alla Orson Welles, con ambizioni e capitali enormi soprattutto 30 anni fa , cercando ” un Pinocchio tragico e buffo come Buster Keaton” , da cui non è più realmente riavuto. Ma ha fallito con onore e ha lasciato alcuni lampi di cinema alla Leone, Linch e Tim Burton, carrelli, dissolvenze, macchina da presa a scovare immagini e emozioni impensate . “ Poi magari mi sono perso” commentava lui stesso ironicamente “ Ma nella prima parte, beh scusatemi, ma lì c’è un bel po’ di cinema vero”.
Lo vogliamo ricordare in un incontro di quattro anni prima del suo deragliamento “da sindrome di Pinocchio”: un incontro del tutto imprevisto, ma intenso, che era in nuce , pensandoci dopo, un’ ellissi della sua parabola esistenziale , sviluppatasi in un calvario autodistruttivo di cadute fisiche e psichiche. In quest’incontro abbiamo fermato scene “all’improvviso” che paiono sequenze di un film non girato, ma perfettamente congruente ed omogenee al film che Nuti stava mettendo in opera in quei giorni. Tanto che avrebbero potuto li per lì titolarsi di primo acchito: Tenera è la notte, e perfida, se annuncia un finale così. Estate 1990. A Firenze sul viale Michelangelo. Esattamente Villa Cora, esclusiva sede alberghiera per elezione dei Cecchi Gori, che vi ospitavano allora anche attori della “scuderia” che dovevano girare esterni in zona. Da mesi frequentavamo il sito perché avevamo sentito di un fantastico piano bar nel lussuoso ristorante all’aperto, posto vicino a una piscina importante cinta da una corona di statuette di ninfe e putti del Giambologna, come ci dissero, che comunque davano un incantamento di presenze arcaiche a vegliare lo specchio d’acqua ; e lì Joanne Berlette, americana del New England, suonava e cantava al piano magnificamente, spaziando dai Blues ai grandi del jazz, da Gershwin al Fantasma dell’Opera, e padroneggiava con classe anche i cantautori francesi e italiani . Joanne era coniugata a un mercante d’arte toscano, di cui rimase qualche anno dopo vedova.
Diventammo prima voraci habitué , e poi amici di famiglia, tanto che il Capodanno successivo lo passammo coi nostri proprio a Villa Cora con Joanne che suonava. Una sera coinvolsi anche Sergio Amato, poi ordinario di storia delle dottrine politiche a Siena , studioso della socialdemocrazia tedesca . Sergio aveva l’hobby di suonare la chitarra per accompagnarsi un po’ temerario a un repertorio napoletano classico, ma anche neo-autoriale , tra cui Pino Daniele , e poi anche i “forestieri” Caterina Bueno e De Andrè. Con Joanne fu sintonia eclettica subitanea, e quindi venivano fuori duetti assai interessanti. All’entrata quella sera incrociammo per primo Novello Novelli, che nella penombra si palesò nel suo personaggio surreale e un po’ inquietante, con le enormi occhiaie impossibili espressioniste (ma sue reali) e la postura fantasmatica. Poi, mentre Joanne iniziava il discorso musicale con Sergio, mi colpì una giovane donne mora , seduta sola a un tavolo del resort , con occhialini a mezzaluna , assorta nella lettura di un libro: era per me P.M., un’ amicizia piacevole e transeunte di qualche anno prima . Poi avvicinatomi di più per verificare e salutarla con festa, scoprii che non era lei, ma Carol Bouquet , i cui originari capelli castano chiari erano ora scuriti (come li aveva P.M.) , per sostenere la parte di Margherita , moglie sopra le righe e bizzosa di Nuti in scene da un matrimonio tra contestazione, terrorismo e femminismo, tra gli anni ‘70 e ‘80 nell’affresco generazionale di Donne con le gonne che Nuti stava girando anche a Firenze e che sarebbe uscito l’anno successivo.
Poi , come una falena attratta dalle luci e dalla musica, si palesò Francesco. Aveva la sua birretta che ad occhio non pareva la prima, e per lui fu subito naturale e irresistibile unirsi a noi. Non ci furono convenevoli né presentazioni, semplicemente ci chiamammo subito per nome come se ci fossimo conosciuti da sempre , e suonammo e cantammo a volontà. Al tavolo vidi poi però che Carol dava segni di stizza e di impazienza. Guardando la scena con gli occhi dell’anno dopo, era come se quella sera a Villa Cora fosse entrata nel suo personaggio. O forse era contrariata perché Francesco pareva snobbare l’ipotesi con lei a favore delle nuova compagnia. Ma allora non lo potevamo sapere.
Fatto sta che Francesco, che già aveva fatto fuori altre 3-4 birrette, si mise poi a cantare la sua Sarà per te. Ma a mezza canzone Carol gli strozzò la voce in gola , facendogli un autentico “ cazziatone”, con frasi tipo “ Ecco ora cominci a fare il solito!, te l’ho detto altre volte , perché non ti contieni ? “; poi si alzò e gli disse che tra 10 minuti dovevano uscire come convenuto e senza salutare e se ne andò dandogli appuntamento all’auto . Restammo di sasso, e ci pareva d’essere in un’autentica scena nutiana in diretta, tipo Caruso Pascoski o Stregati, ma anche, poi guardando il film sei mesi dopo , a una delle scene non montate, ma girate di Donne con le gonne.
A quel punto , immedesimati nel film ”all’improvviso” , ma anche per spontanea solidarietà di unici altri due maschietti del tavolo, ci sentimmo autorizzati , confidenzialmente ad azzardargli qualcosa come “ Ma perché fa così? Ma come mai ti fai dire questo?”, e Francesco annuiva , mortificato e un po’ fatto, poi sottovoce , complice , con l’occhietto furbo strizzato alla Nuti, ci bofonchiò , spianandoci il suo irresistibile sorriso : “ Tanto domani se ne torna via ! ”. Poi andò a prendere la sua Ferrari rossa , Carol vi entrò, e sparirono sgommando in discesa per Viale Michelangelo verso qualche luce notturna di Firenze.