Cinema e psicanalisi: quel film fa bene all’inconscio (e all’analista)

Riflessioni sul successo della rassegna Buio in sala in collaborazione con Spi

Buio in sala. Si spengono le luci, inizia la magia del cinema. Era tutto esaurito al cinema Astra  di Firenze lo scorso giovedì 15 febbraio, quando è iniziata, con la proiezione del film Il caftano blu di Mariam Touzani commentato da Irene Ruggiero, l’edizione invernale di Buio in Sala con sottotitolo “cinema e psicoanalisi”. Prosegue fino al 7 marzo, ogni giovedì sera alle 21. Questo giovedì 22 febbraio con Misericordia di Emma Dante, commentato da Anna Cordioli, poi  Perfect Days di Wim Wenders il 29 , commentato da Chiara Matteini e finale con Past Lives di Celine Song il  7 marzo, commentato da Cristina Saottini. 

La rassegna si conclude con un evento speciale pomeridiano dedicato al cinema iraniano, sabato 9 marzo alle 15, con il film Leila e i suoi fratelli di Saeed Roustayi e il commento di Virginia De Micco. Il programma è a cura di Michele Crocchiola per lo Stensen e di Stefania Nicasi, Vincenza Quattrocchi e Rossella Vaccaro per il Centro Psicoanalitico di Firenze, il cui sito web, che ha uno spazio fisso dedicato al cinema e come vedremo in seguito che non a caso, accompagna la rassegna pubblicando a distanza di pochi giorni il testo del commento al film. Da parte loro, le serate all’Astra prevedono chealla proiezione del film segua il breve commento di uno psicoanalista della SPI e la discussione con il pubblico coordinata da Michele Crocchiola. “Prosegue così oltre lo schermo il dialogo fra la psicoanalisi e il cinema iniziato già dalla costruzione del programma con la scelta di film che si prestino a una lettura incrociata”, spiegano gli organizzatori.

Questi i fatti. Che però suggeriscono una serie di altri temi,  prima tra tutte il perché, anche stando solo  al matematico e freddo ma inesorabile computo dei biglietti venduti e prenotati, l’iniziativa eserciti un fascino che cattura e che pone delle domande visto che tutto sommato non si tratta di film introvabili nelle altre sale,  al di fuori dal rapporto con la psicanalisi che propone l’Astra. Sono tutte pellicole  ancora o appena in sala, volendo le troveremmo anche altrove, invece no, tutti all’ Astra la sera dei giovedì tra febbraio e marzo. È  il rapporto con la psicoanalisi a sedurre? Ci domandiamo. Giriamo le nostre curiosità a Stefania Nicasi, psicologa, membro ordinario della Società Psicoanalitica Italiana (o, più semplicemente, psicoanalista SPI), direttrice della rivista di cultura psicoanalitica, “Psiche”.   

Stefania Nicasi quale è secondo lei  il rapporto tra cinema e psicoanalisi, che a prima vista  ci sfugge o ci suggerisce una quantità di spiegazioni, troppe e troppo vaghe? 

“ Non nasce per caso. Il cinema e la psicoanalisi fioriscono quasi contemporaneamente agli albori del Novecento e presto iniziano a interessarsi l’uno all’altra e viceversa. L’influenza della cosiddetta scoperta dell’inconscio, del metodo per indagare la psiche, dell’attenzione tributata al sogno affascina molti registi e percorre la loro produzione artistica, sia in modo esplicito sia come presenza implicita ma pervasiva”.

Ci faccia qualche esempio concreto.

“Tre sono i principali modi attraverso i quali cinema e psicoanalisi interagiscono. Il primo è quando il film si appropria della psicoanalisi trattandola secondo una modalità realistica nel rappresentare le vicende di una terapia, un esempio per tutti è Spellbound (Io ti salverò) di Hitchcock. Il secondo, quando la psicoanalisi si appropria del film attribuendogli un significato simbolico-metaforico con la pretesa di svelare significati e moti inconsci dell’opera e del regista oppure dell’una o dell’altro. Il terzo è rappresentato da film che trattano di analisti al lavoro in modo da cogliere aspetti problematici e sospesi della costituzione stessa della psicoanalisi, evitando toni didascalici e conclusivi, penso per esempio alla fortunata serie tv “In Treatment”.

Però non ci sembra, o non lo abbiamo capito,  che in “Buio in sala” rappresenti una di queste tre eventualità. 

 “Infatti. Perché esiste poi anche un quarto modo di stabilire il rapporto, ed è a questo che “Buio in sala” si ispira. Come un qualunque spettatore, lo psicoanalista fruisce del film a vari livelli. Ma, a differenza di un comune spettatore, può essere colpito da qualcosa che lo spinga a ripensare a certi passaggi della teoria o della clinica, ai suoi pazienti, a se stesso al lavoro, e a vederli sotto una luce nuova. Non dirà quindi: “Adesso vi spiego cosa veramente vuol dire il film”, non si farà strada con l’apriscatole, ma dirà: “Il film mi aiuta a capire, a vedere questa cosa in questo modo nuovo”. serà il film come una sonda della psiche individuale, a cominciare dalla propria, o del funzionamento di un gruppo o dei fermenti che percorrono la società, la cultura, il mondo che cambia.Penso a  uno psicoanalista che non abbia già la verità in tasca sul film ma che la cerchi attraverso la visione condivisa, l’atmosfera che si crea di volta in volta nella sala, le reazioni e le preziose impressioni del pubblico.

Un atteggiamento di ascolto con tutti i sensi, al quale oggi sempre di più si dispone e si allena l’analista in seduta, così come lo spettatore in sala, che consenta una fruizione più piena, che accenda una luce e la mantenga sospesa per qualche tempo, prima che nuovi film, nuovi messaggi, nuovi stimoli ci distraggano, ci rapiscano, ci conducano altrove. Una breve, ma  si spera fruttuosa, immersione in mondi fatti della stessa stoffa: i sogni e le emozioni, le storie e le immagini”. 

Bene e sulla base di cosa avete scelto i film in lista? Perché  li trovate  belli, perché sono noti, perché hanno una particolare connessione con la psicoanalisi, perché piacciono a voi, o cos’altro?

“Li abbiamo scelti fra i film recenti, prima di tutto perché ci sono piaciuti, e poi perché hanno di per sé un valore artistico, inoltre perché ci consentono di mettere in dialogo la psicoanalisi con il cinema, visto che colgono con finezza alcune modalità di funzionamento psichico o dello stare in relazione con gli altri, o ambedue le cose insieme. Infine, perché ci hanno emozionato, perché parlano dicendo più cose insieme, perché si muovono con grazia fra diversi livelli. Perché nel discuterli è possibile giocare”.

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