Cia Toscana e Pit regionale, stop a concezione statica agricoltura, nessun rischio di “wine valley”

Firenze – Il dossier di Cia Toscana, che fotografa lo stato dell’arte dell’agricoltura regionale, è il passaporto che consente all’associazione di lanciare un messaggio preciso alla Regione, che riguarda in particolare eventuali timori che sembrano trasparire dal Piano paesaggistico: basta con una concezione statica dell’agricoltura, il rischio di perdita della diversità a favore della monocoltura (la wine valley, insomma), non esiste. Numeri alla mano.

Infatti, secondo il dossier presentato dall’associazione, da dieci anni a questa parte la superficie a viti è cresciuta solo del 2,5%, e rappresenta appena il 7% della superficie agricola toscana. Se poi si considera la prozione dell’intero territorio regionale adibito a colture specializzate (vino, ortofrutta e vivaismo) si tratta di 100mila ettari, che rappresentano l’11,7% della superficie agricola utilizzata.

“Il Piano Paesaggistico adottato dal Consiglio regionale lo scorso 2 luglio – sottolinea Luca Brunelli, presidente Cia Toscanaè un documento complesso e giustamente ambizioso, che condividiamo negli obiettivi fondamentali, perché mira al contrasto del consumo di suolo; riconosce l’agricoltura quale presidio paesaggistico essenziale; punta al recupero produttivo agricolo di superfici abbandonate. Emerge tuttavia la tendenza ad una visione statica dell’agricoltura, peraltro non omogenea nei diversi documenti, che individua fra le minacce al paesaggio l’abbandono dell’agricoltura da una parte e i processi di intensificazione e specializzazione dall’altra. Occorre, quindi procedere ad una rilettura e riscrittura di alcune parti del Piano, al fine di rendere chiare, coerenti ed omogenee su tutto il territorio le opzioni strategiche e le priorità della Regione Toscana nell’azione di tutela del paesaggio”.

Questa “visione statica” dell’agricoltura, spiegano dalla Cia, è in parte responsabile degli “allarmismi” ingiustificati che impediscono di riconoscere “tutta l’agricoltura quale risorsa paesaggistica”. E dunque, propone Cia Toscana, è necessario correggere “gli obiettivi generalizzati di “contrasto”, “limitazione”, “ostacolo” allo sviluppo dell’agricoltura, si mettano poche regole precise, sulla base di rigorose valutazioni dei rischi, come stabilisce l’Art. 149 del Codice del paesaggio”. Una posizione che non si ferma a semplici enunciazioni, quella della Cia, ma che, partendo dal meticoloso lavoro il cui frutto è stato il Dossier, ha elaborato anche alcune proposte.

Partendo da una revisione del piano adottato, la Cia richiede la piena attuazione del codice del paesaggio, la distinzione tra “raccomandazioni” e norme cogenti; il riconoscimento di tutta l’agricoltura quale risorsa paesaggistica; il riequilibrio e l’armonizzazione delle schede di ambito e dei disciplinari d’uso. Ancora, considerare prioritaria la tutela del “valore di esistenza” della risorsa paesaggio rurale, favorendo le trasformazioni del suo “valore d’uso” in quanto funzionali al mantenimento della risorsa. Non solo: la Cia ritiene anche necessario “sostenere i comparti agricoli ad alto valore aggiunto riconoscendo pienamente la funzione paesaggistica di questi settori, in grado di assicurare un presidio produttivo agricolo forte e competitivo nelle aree rurali; ponendo al tempo stesso poche regole chiare, precise e tecnicamente definite da recepire negli strumenti di pianificazione territoriale, per quelle situazioni nelle quali le condizioni geomorfologiche e di assetto idrogeologico suggeriscono le necessarie cautele, dando certezze agli operatori ed alle amministrazioni locali”.

Ed ecco i “numeri”: in particolare, l’ “agricoltura specializzata copre nel suo insieme una superficie di 100mila ettari circa, suddivisi tra viticoltura (60mila), ortofrutticoltura (27mila), e florovivaismo (13mila), con una incidenza dell’11,7% sulla SAU e del 7,7% sulla SAT (Superficie aziendale totale)”.

Vigneti – L’incremento negli ultimi dieci anni (2000 – 2010) è stato del 2,5%. L’incidenza delle superfici viticole è ad oggi pari al 7% della Superficie Agricola Utilizzata (SAU).

Le aziende viticole in Toscana sono 26mila circa, con una superficie vitata media pari a 2,3 ettari. Ad aumentare maggiormente nel decennio in esame sono state le province di Livorno,+22%, e Grosseto, +28%; in questi territori i vigneti rappresentano rispettivamente il 7,3% ed il 4%. Nella provincia di Siena l’aumento è stato del 5,5%, mentre nella provincia di Firenze si è avuto un incremento del 3,7%; + 4,9% i vigneti in provincia di Prato. Stabili i vigneti della provincia di Arezzo, in forte calo nelle altre province. Senza parlare delle regole europee, che, come spiega Giordano Pascucci, direttore Cia Toscana, che riguardano i diritti di reimpianto, pari, per gli stati membri, a un incremento di diritti dell’1% annuo entro un plafond complessivo nazionale definito. “Per la Toscana questo si traduce in un potenziale incremento tendenzialmente pari a 600 ettari annui. Assai meno di quanto sottratto annualmente all’agricoltura per i nuovi insediamenti produttivi: 1.000 ettari l’anno tra 2007 e 2010”.

Vivaismo e florovivaismo – Il punto critico del settore, che porta la regione a parlare di vera e propria minaccia all’ambiente, riguarda l’impermeabilizzazione o la semimpermeabilizzazione dei suoli. “Su superfici permeabili o semipermeabili spiega Cia Toscana – sono attive circa 1350 aziende per una superficie di 1.250 ettari; mentre sono soltanto 189 le aziende su superfici impermeabili (per 143 ettari). Nella peggiore delle ipotesi, continua Pascucci dai alla mano, “il fenomeno impermeabilizzazione riguarda nella peggiore delle ipotesi un 25% del vivaismo pistoiese; già oggi una parte consistente dei produttori di vasetteria (90% secondo il dato) utilizza sistemi permeabili o semipermeabili, e comunque è assolutamente possibile mitigare l’effetto impermeabilizzazione”.

 Ortofrutticolo – In Toscana ci sono 4.227 aziende ortive in 10.102 ettari di superficie; 10.250 sono invece frutticole e si trovano in 17.824 ha. L’estenzione del settore interessa meno del 3% della Sau. Senza contare che queste produzioni, conclude Pascucci, “possono assicurare alle aree urbane un approvvigionamento di prodotti freschi, favorendo lo sviluppo della filiera corta”.

 

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